Le scale dei palazzi che si arrampicano morbide, e un po’ misteriose, le porte chiuse, da cui rimbombano drammi familiari, i salotti di lusso pure se un po’ fané, i vicoli affollati di gente e di parole. E misteri, i ricordi dolorosi, passato e presente che si mischiano in una unica dimensione, un incanto, una «smorfia» che lascia presagire qualcosa di terribile, o di meraviglioso, le luci e le ombre dei vivi e dei morti. E l’amore, naturalmente,«l’amore che ci sarà. Hai due possibilità, se scegli quella giusta male non va» – come profetizza la santona grassissima dal letto.

 

 
Quale è la Napoli di Ozpetek, la Napoli velata del suo nuovo film? Un luogo dell’immaginario più che delle realtà, e il primo merito del regista di nascita turco ma in Italia (per studiare cinema) dagli anni Settanta, è quello di non cadere nello «stile» Gomorra a cui sembra ormai obbligato sottostare raccontando il sud campano capoluogo e periferie.

 

 

 

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Dietro al velo che peraltro Ozpetek non cerca mai di squarciare, prediligendo anzi apertamente il possibile alle certezze (la scena del parto dei femminielli è quasi una dichiarazione di intenti), balena invece una tradizione culturale napoletana ancorata alla Storia, e in un certo modo al vissuto, un paesaggio universale che va in scena e si intreccia a amori cinefili quasi assecondando le ispirazioni del regista e dei suoi cosceneggiatori, Valia Santella e Gianni Romoli. C’è il teatro di Edoardo e ci sono gli spiritelli di Anna Maria Ortese ma c’è anche VertigoLa donna che visse due volte, pure se negli spaesamenti della protagonista Ozpetek preferisce vedere il Viaggio in Italia rosselliniano, e ci sono le spirali di De Palma.

 

 
È un racconto di fantasmi questo, di «presenze» sentimentali che come spesso accade nei film del regista rimandano a stati d’animo dolorosi, a una crisi d’affetti, a un dolore, alla ricerca di un posto nel mondo. Al centro c’è Adriana – Giovanna Mezzogiorno – anatomopatologa che ha seppellito traumi terribili da qualche parte di sé tenendoli a bada con un ferreo controllo. Vive sola, rifiuta ogni irruenza e charme al contrario dell’amica del cuore (Luisa Ranieri), più simile alla zia che l’ha cresciuta (Anna Bonaiuto) e che se ne sta sepolta nella casa di famiglia aperta a feste e a un gran via vai ma quasi prigione di una solitudine senza tempo. È proprio in una di queste serate che Adriana incontra Andrea (Alessandro Borghi), basta uno sguardo, lui è giovane, sfrontato, passeremo la notte insieme le dice e così sarà. Poi però il ragazzo scompare, inghiottito anche lui nel gorgo di un qualche mistero. Lo trovano morto e per Adriana che lo riconosce è come se si aprisse una voragine. Non può non pensarci, lo vede ovunque, è l’ossessione di una pazza o è davvero un complotto che copre traffici criminali, la corruzione dietro alla facciata ricca e borghese come quella delle due dame mercanti d’arte?
Più che il mistery Ozpetek però predilige il melodramma che sposta appunto sul confine tra i vivi e i morti, tra la terra di sotto e di sopra su cui si muove con maestria Pasquale (Peppe Barra), l’amico e confidente di Adriana. Una line illusoria e forse ingannatrice, vicina all’essenza del barocco che irrompe negli angoli più segreti della città e in cui a tratti lo stesso Ozpetek e con lui il film rimangono impigliati.
Alla fine però sono « i fantasmi» a imporsi su tutto il resto, con ciò che sono e ciò che potrebbero essere. senza nostalgia, Napoli velata sembra lanciare una sfida, guardare a un patrimonio prezioso e essere liberi ovunque di raccontare con un po’ di follia.