Negli ultimi mesi in Gran Bretagna, così come in buona parte del mondo occidentale, la tendenza è quella di «eliminare» statue inopportune, dedicate a personaggi controversi e dal passato macchiato da nefandezze di ogni genere. Nella città portuale inglese di Plymouth, da dove nel 1620 partirono con la Mayflower i padri pellegrini per l’America, c’è invece chi sta raccogliendo denaro per erigerla, una statua. Ma l’obiettivo ultimo è lo stesso: fare i conti con un passato intriso di razzismo e discriminazione. A essersi attivati sono numerosi sostenitori del team calcistico locale, per cui fra il 1921 e il 1934 ha giocato Jack Leslie, destinatario dell’omaggio marmoreo che dovrebbe sorgere davanti allo stadio dei nero-verdi. Leslie è stato il primo giocatore nero a essere convocato per la nazionale inglese. Nonostante giocasse nella terza serie, si era distinto come uno dei migliori attaccanti del Paese. Come narrarono le cronache dei tempi, fu protagonista assoluto della tournée in Sud America dell’estate del 1924, quando l’Argyle prese a pallonate argentini e uruguagi che da lì a qualche anno si sarebbero contesi la prima Coppa del Mondo, allora dedicata a Jules Rimet, in quel di Montevideo.
Tutti buoni motivi che spinsero i selezionatori della nazionale – all’epoca non c’era un vero e proprio allenatore in carica – ad inserirlo nell’undici titolare comunicato pochi giorni prima dell’amichevole con l’Irlanda dell’ottobre 1925.

Ci sono ritagli di giornali che certificano la scelta della direzione tecnica dei Tre Leoni, poi cancellata dagli alti papaveri della Football Association, inorriditi alla sola idea che un ragazzo di padre giamaicano e dalla pelle scura potesse indossare la maglia bianca dell’Inghilterra. Leslie non scese mai in campo contro gli irlandesi e non fu mai più convocato in nazionale.
Continuò a giocare per il Plymouth, acquisendo lo status di leggenda, grazie alle 401 partite disputate e ai 137 gol. Dopo 14 anni culminati dalla promozione in Seconda Divisione e una memorabile vittoria per 4-1 sul Manchester United nella Coppa d’Inghilterra del 1933, Jack si ritirò con i gradi di capitano e un rimpianto immenso: quel cap (il cappellino che viene dato per ogni presenza con i Tre Leoni) mai ricevuto.

Dovettero passare altri 53 anni prima che Viv Anderson, terzino del Nottingham Forest, potesse entrare nei libri di storia come il primo nero a giocare un match in nazionale. Quando scese in campo contro la Cecoslovacchia, la portata dell’evento fu tale che la regina Elisabetta spedì a Anderson un telegramma per complimentarsi con lui.

In quel periodo Leslie faceva il magazziniere per il West Ham United, squadra dell’East End londinese proletario e multietnico dove era nato nel 1901 e nella quale, negli anni Sessanta, giocava Clyde Best, ragazzo delle Bermuda che si prese anch’egli la sua buona dose di epiteti razzisti, facendo senza dubbio tornare alla mente a Jack il suo travagliato passato di calciatore.
Leslie se n’è andato nel 1988, senza riuscire a vedere i progressi raggiunti dal mondo del calcio inglese: la campagna Kick it Out, le misure draconiane contro i tifosi razzisti, la nazionale infarcita di ragazzi dalla pelle nera (undici solo all’ultima Coppa del Mondo in Russia) e l’omaggio alla campagna Black Lives Matter durante il restart della Premier dopo il lockdown. Certo, di strada bisogna farne ancora tanta e il problema è lungi dall’essere risolto, per questo è importante che storie come quella di Leslie siano raccontate. Il crowd funding sta andando molto bene e il Plymouth Argyle ha già fatto sapere che sarà ben contento di mettere la statua davanti all’entrata principale dell’Home Park, l’impianto dove il buon Jack faceva ammattire i difensori avversar