Da tempo DeriveApprodi documenta la storia della sinistra di classe italiana, in particolare con la collana «Gli autonomi», sulla «vasta galassia dell’Autonomia operaia», come scrive Mimmo Sersante, curatore del nono volume della serie: I “padovani”. Dagli anni Ottanta al G8 di Genova 2001 (con Gianmarco De Pieri, Piero Despali, Massimiliano Gallob, Vilma Mazza e con una storia a fumetti di Claudio Calia, pp. 206, euro 18). É una sorta di sequel di Gli Autonomi. Storia dei Collettivi politici veneti per il potere operaio (2019), scritto, con Sersante, da Giacomo e Piero Despali.

I “padovani” documenta uno dei periodi più complessi ma anche più innovativi del movimento: l’uscita dai duri anni seguiti alla repressione e alla fine della fase in cui, grazie ad analisi della società italiana, e del nordest in particolare, fra le più lucide, e a una pratica sul campo fra le più determinate, i Collettivi avevano acquisito forza e peso politico non solo tra Università e grandi fabbriche venete, ma seguendo il diffondersi dei rapporti di produzione e sfruttamento sul territorio e il dispiegarsi delle soggettività antagoniste nei luoghi della vita quotidiana (quartieri e aree metropolitane, ma anche i paesi, la provincia profonda).

NEGLI ANNI in cui si formava l’humus leghista, in realtà si andava costituendo anche il suo antidoto («Conoscevamo troppo bene Stato e sottosviluppo di Ferrari Bravo e Serafini per cadere nella trappola di Bossi» scrive Gallob). La repressione, la dinamica generale della società locale (nel quadro globale), i limiti dell’agire politico, non hanno consentito a quell’antidoto, infine, di svilupparsi in pieno. Questo volume, però, dà conto di come abbia prodotto una rete di conflitti e di esperienze capaci di riprendere o inventare spazi (i Centri sociali, ma non solo: le T.a.z., le radio, Sherwood in primis – e il festival connesso, la cui ennesima edizione è appena cominciata nell’area dello stadio Euganeo a Padova – l’informatica militante), di radicarsi nel «lavoro autonomo di seconda generazione», e poi nella logistica, di reinterpretare l’ecologismo e farsi permeare dal nuovo femminismo.

«Da autonomi diventammo attivisti dei centri sociali: sottrarsi all’etichettamento sprigionava chi voleva essere nuovo», scrive De Pieri, alludendo alla Carta di Milano del 1998, («un nostro abbecedario politico complessivo»: antiproibizionismo, reddito di cittadinanza, terzo settore, amnistia, regolarizzazione dei Csoa…), la rete che poi darà vita alle Tute Bianche, fino a Genova 2001, qui raccontata mischiando biografie e storia politica, come in Vilma Mazza, tra nuovo internazionalismo (con Ya Basta, lo zapatismo, e non solo) integrato al lavoro territoriale, al «municipalismo», e nuove forme di disobbedienza.

Il volume è un prezioso ausilio e insieme un accattivante invito a ripensare quegli anni, forieri di stimoli, progetti, esperienze niente affatto invecchiate. Lo dimostra anche il lungo memoir di Piero Despali. Attraversati gli anni Ottanta in latitanza, Despali è un protagonista singolare del periodo. In costante se pur rischioso rapporto con quanto avviene, con movimenti e strutture che agiscono alla luce del sole e dentro lotte e condizioni di massa, svolge, pur necessariamente defilato, un ruolo di leader fra i più influenti e pragmatici.

IL SUO PUNTO DI VISTA – per così dire, esterno/interno – è dunque di particolare interesse, tra rinvii a letture e approfondimenti teorici e di prospettiva e concreti interventi sul campo. Ciò fa del suo testo uno dei documenti più interessanti prodotti dalla generazione che, attivatasi giovanissima allo snodo tra i ’60 e i ’70, ha voluto e saputo restare in campo ben oltre, senza rinunciare a «nuovi inizi» ma senza snaturare la propria storia, anzi fieramente e razionalmente rivendicandola, conducendola tuttavia all’incontro con i tempi nuovi e le nuove soggettività, come già si coglieva nel volume precedente scritto con Giacomo Despali.
Materiale utile all’oggi, dunque, pur guardando al tempo che Calia disegna con nitore e intensità raccontando sé stesso e infine Genova luglio 2001, conclusione del libro ma in realtà «solo le prime avvisaglie di un mondo che da lì a due mesi sarebbe cambiato per sempre».