Prima che Hitler infrangesse il patto di non aggressione con Stalin, quest’ultimo invia prima dell’inizio della guerra un sommergibile carico d’oro che però non giunge mai a destinazione. Le leggende lo danno sommerso sul fondo del Mar Nero. La premessa narrativa scorre sui titoli di testa con immagini che gli appassionati di History Channel e altri canali tematici avranno visto migliaia di volte.

Black Sea è un dignitoso film d’azione claustrofobico, tutto d’interni  affidato a un cast di volti di secondo piano, con l’evidente eccezione di Jude Law e Tobias Menzies, che porta sulle proprie spalle il peso del film con grande competenza. Realizzare film sui sommergibili è sempre una scommessa. Da U-Boot 96 di Wolfgang Petersen, passando per K-19 di Kathryn Bigelow a U-571 di Jonathan Mostow, senza dimenticare Caccia a ottobre rosso di John McTiernan e Allarme rosso del compianto Tony Scott, per restare ai titoli più impressi nella memoria dello spettatore e senza arretrare sino a classici come Operazione sottoveste di Blake Edwards, la sfida è sempre sfruttare al massimo lo spazio limitato degli ambienti a disposizione evitando la deriva del film da camera. Il montaggio, di conseguenza, con il suo alternarsi di primi piani e dettagli dei pannelli di comando, si presenta come uno degli elementi di maggiore efficacia di Black Sea, proiettando nello spazio la tensione che unisce uomini legati in un’avventura disperata.

Conferendo a Jude Law il ruolo di contractor di sottomarini, molto lontano dai soliti che gli sono affidati e immergendolo nell’ambiente dei lavoratori del mare duramente colpiti dalla recessione economico e, caratterizzandolo (nella versione originale) con un accento molto scuro, il regista riesce a conferire delle notazioni di classe non banali al suo film. L’equipaggio del sottomarino (quello che si vede nel film è un autentico reperto bellico sovietico ancorato a River Medway at Strood nel Kent) è una sorta di sporca dozzina aldrichiana e internazionalista formata da russi e inglesi. Come dire che considerato che per la classe operaia non c’è più spazio sulla terra che s’immerga nelle profondità del mare. Diretto dal factotum Kevin MacDonald, responsabile anche di un non banale State of Play, di un pessimo Marley, di un sopravvalutato L’ultimo re di Scozia e di un intrigante peplum come The Eagle, sceneggiato da Dennis Kelly, noto per l’ottimo serie tv britannica Utopia, il film, pur restando nell’ambito delle regole di un genere non canonico ma comunque riconoscibile, si offre probabilmente come uno dei titoli più interessanti della filmografia del nostro.

Le tensioni e le motivazioni che legano gli uomini fra di loro al lavoro sono caratterizzati in maniera credibile e addirittura sincera. Law, dal canto suo, si produce in una prestazione inconsueta che gli permette, ancora una volta, di mettere in luce un talento molto più articolato di quanto comunemente non gli si riconosca. Black Sea probabilmente non aggiunge grandi novità al filone sommergibilistico, ma la sua rude e oleosa patina di ferraglia bellica del secolo scorso gli dona un fascino settantesco assolutamente credibile.