L’eliminazione dalla Legge fondamentale tedesca del termine “razza” potrebbe riaprire anche in Italia il dibattito sull’opportunità di procedere a un’analoga revisione. La “parola maledetta”, come la definì alla Costituente Meuccio Ruini, è presente, infatti, anche nell’articolo 3 della nostra Costituzione. La decisione di usarla per indicare una delle discriminazioni vietate dal principio di eguaglianza, in verità, non fu pacifica: l’Unione delle comunità israelitiche inviò alla stessa Costituente un documento in cui esprimeva la «sommessa richiesta di sostituire la parola ‘stirpe’ a quella di ‘razza’, lasciando quest’ultima ai cani e ai cavalli». Proposta avanzata nella Prima sottocommissione dal monarchico Lucifero, che però trovò l’opposizione di quanti sottolinearono la differenza tra i due concetti e il valore politico dell’uso della parola “razza”. Scriverla in Costituzione, affermò Togliatti, avrebbe significato «ripudiare quella politica razziale che il fascismo aveva instaurato». Al tempo, tuttavia, si presupponeva che il termine “razza” non appartenesse soltanto al linguaggio comune, ma che avesse anche una dignità scientifica. Le cose oggi non stanno più così. Per gli antropologi, infatti, la parola “razza” è del tutto inadeguata a descrivere la diversità biologica umana e il testo costituzionale andrebbe aggiornato sull’esempio delle iniziative adottate in Francia e ora in Germania.

Nella scorsa legislatura non sono mancate proposte volte a sostituire, nell’articolo 3 della Costituzione, la parola “razza” con “etnia” o ad affiancare alla prima i termini “colore” ed “etnia”.

Tentativi che non sono andati a buon fine e che hanno raccolto diverse critiche. Il linguaggio dei costituenti rispecchierebbe lo spirito del tempo, si è detto, e, per quanto scientificamente scorretto, l’uso del termine “razza” conserverebbe un valore storico e un significato giuridico: insomma, c’è scritto “razza” ma dovrebbe leggersi “razzismo”. È vero, d’altro canto, che la permanenza in Costituzione del termine appare oggi in grado di generare confusione se soltanto qualche anno fa, parlando d’immigrazione, l’attuale Presidente della Regione Lombardia ha affermato che occorrerebbe difendere la “razza bianca”, ricordando poi che di “razza” parla anche la Costituzione.

La marcata connotazione simbolica di una simile revisione imporrebbe comunque la massima cautela: la cancellazione secca del termine si potrebbe leggere paradossalmente come una legittimazione delle discriminazioni razziali. Soluzione più ragionevole sarebbe invece sostituire alla parola “razza” una combinazione di termini che ne esprimessero l’intero significato. Si tratterebbe di un intervento di pulizia linguistica che, senza correre il rischio di legittimare interpretazioni distorte della revisione, mostrerebbe in modo netto l’inconsistenza scientifica di una categoria già condannata dalla storia.