I due recenti editoriali d i Norma Rangeri hanno aperto un dibattito ampio sulla stato della sinistra italiana. Evidentemente i tempi erano maturi. Certo già il fatto che a lanciare il sasso, anzi a “dare la linea”, debba essere il direttore di un giornale in passato tanto giustamente autonomo dai partiti della sinistra (anche radicale), dice molto di noi, dello stato della sinistra politica.

I molti interventi (articoli e lettere) non hanno fatto che confermare un clima, evidenziando confusione, miopia, incapacità di giungere ad un precipitato politico coerente.

Il primo editoriale di Norma, subito dopo il primo turno delle amministrative, era stato indubbiamente molto critico con le sinistre radicali, perché autoreferenziali, identitarie, contrapposte, dissennate politicamente. Difficile non essere d’accordo (solo non condivido tener fuori dalla critica Sinistra italiana e Elly Schlein, a tutti gli effetti corresponsabili della crisi della sinistra). Il punto inaggirabile mi pare questo: c’è un problema sinistra radicale in Italia. Esattamente come c’è un problema sinistra moderata. Quindi c’è un problema fra sinistra e paese. Fra sinistra e democrazia.
La forza e la pericolosità della nostra destra, la crisi anche costituzionale del nostro sistema politico, non sono che la risultante di questa doppia debolezza ormai storica, cronica.

Maurizio Acerbo ironizza sui “coraggiosi” il cui unico coraggio consiste nell’“allearsi con il Pd”. Gli vorrei ricordare che nell’estate 2019 proprio sul manifesto fu lui stesso ad auspicare l’appoggio della sinistra all’alleanza Pd-5stelle, cioè al Conte 2, per evitare di “consegnare l’Italia a una maggioranza assoluta Salvini-Meloni”. Un Acerbo indubbiamente inedito e “coraggioso”. In questi due anni ha cambiato idea? Il pericolo Salvini-Meloni è svanito?

Intendo dire: un dirigente politico dovrebbe sempre fare i conti con la storia e con i dati di realtà. E modulare su questo la sua qualsiasi azione ed identità. L’identità di un partito è la politica che fa, in un tempo e in un luogo dati.

Le scelte dipendono dai rapporti di forza, dalla situazione sociale, dal quadro internazionale. Si è dirigenti politici se si sa valutare tutto questo (e si ricorda, ad esempio, che Podemos ha nettamente perso le elezioni e che il sostegno al governo con il Psoe è minoritario, subalterno). Perciò è ozioso discutere se stare col Pd “a prescindere” o meno. Il Pci ha seguito per decenni la “politica unitaria”, anche con la Dc, da Togliatti a Berlinguer. Ed era il Pci, non Sinistra Italiana.

Per questo non si può discutere dei temi sollevati dagli editoriali sulle elezioni con il centimetro della distanza dal Pd (nel 2019 Acerbo dimostrò di non impiccarsi a questo). Tanto più che nel suo secondo intervento Norma, riprendendo un giudizio già espresso, ha precisato di non voler portare acqua al Pd, definito “forza governativa di centro” e di puntare a “costruire una sinistra” forte abbastanza da porsi come “autonoma e alternativa al Pd”.

Se il punto di caduta politica del dibattito è questo, credo che non sarà stato inutile discutere. Per mio conto riassumerei così: un nuovo partito della sinistra, assolutamente autonomo organizzativamente, culturalmente, politicamente; politiche unitarie solo dove ci siano le condizioni per imporre scelte di sinistra, di alternativa al neoliberismo, di democrazia in Italia e in Europa; da ultimo liste elettorali non decise di volta in volta, con una sarabanda demenziale di sigle, ma espressione diretta di soggetti politici chiari, di referenti sociali, di insediamento territoriale, ma anche di direzione nazionale unitaria.

Solo una soggettività politica siffatta potrà poi decidere, a seconda delle circostanze e dei programmi, le politiche di alleanza, con il Pd e altre forze democratiche. Ma se non si assume questa latitudine di visione, questa ambizione strategica, se continuiamo a dividerci fra chi è “costitutivamente disponibile ad accordi col Pd” e chi vuole “insorgere”, continueremo a perdere per l’eternità.