Fra il XVII e XVIII secolo, nel Regno di Napoli, lo status di zitella si sintetizza nel fenomeno della «bizzoca» che rappresenta un aspetto intrigante della storia della condizione femminile. Le bizzoche, denominate anche ‘monache di casa’, sono donne che preferiscono votarsi a Dio restando fuori dalle mura conventuali. Questa condizione ‘liminale’ non è ben vista dall’autorità ecclesiastica, tant’è vero che affida ai superiori degli Ordini religiosi locali il compito di accertare la vocazione e la rettitudine di vita per poter poi chiedere alla Curia Arcivescovile il consenso alla vestizione.

Malgrado i disordini, il vescovo e dottore della Chiesa Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696/1787), nel «Discorso alle zitelle devote» (1760) addita lo stato di bizzoca come preferibile sia allo stato maritale che a quello claustrale. Nella Napoli del tempo, in particolare nell’area urbana dei Quartieri spagnoli, centro abitativo di una popolazione composita, tali modelli di femminilità, uniti alle assidue visite pastorali, raffigurano forme di controllo sociale per delimitare la piaga imperante della prostituzione. Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe chiamata ‘La Santarella’ per il suo essere dolce, nonostante la sua situazione familiare sia molto ostica, al secolo Anna Maria Rosa Nicoletta Gallo (Napoli, 25 marzo 1715-6 ottobre 1791), nasce dai merciai Francesco Gallo e Barbara Basinsi e vive in Vico Tre Re a Toledo, 13 nei Quartieri spagnoli. Dalla sua agiografia emerge che è stata una bizzoca integerrima, sebbene abbia assunto un comportamento dissidente riguardo alle regole ecclesiastiche.

Riceve in casa piuttosto che in chiesa la vestizione di terziaria alcantarina a soli 16 anni, in deroga ai 40 previsti. Coabita per 38 anni con Don Giovanni Pessiri nella casa di quest’ultimo, oggi sede del Santuario che le è stato intestato e dove, in deroga alle prescrizioni e ai divieti ecclesiastici, riceve prelati, confessori, laici di ogni classe sociale.

Donne sterili
Viene interpellata da uomini di cultura e prìncipi della Chiesa per essere assistiti nei dubbi degli studi teologici e nel consolidamento della fede cattolica. Unica donna napoletana elevata alla Santità, è stata dichiarata beata il 12 novembre 1843 e canonizzata il 29 giugno 1867. La casa-Santuario diventa luogo di culto frequentatissimo dalle donne sterili che arrivano da ogni parte del mondo a Napoli, in vico Tre Re a Toledo, per chiedere la grazia della maternità, sottoponendosi a un particolare rituale.

Che consiste nel sedersi sulla ‘sedia miracolosa’ dove la santa era solita riposare dai suoi patimenti e nel ricevere, da parte di una delle suore denominatesi Figlie di Santa Maria Francesca, una benedizione praticata avvicinando al petto delle devote un reliquiario contenente un osso e alcuni capelli della santa. La Santa dei quartieri è Compatrona della città di Napoli e il suo corpo riposa nella casa-Santuario dov’è vissuta. La Santa è protettrice delle donne sterili e incinte. Nella casa-Santuario si notano centinaia di ex-voto, fiocchi rosa e azzurri.

A 16 anni ripudia di sposare l’uomo scelto per lei dal padre e dichiara di voler seguire la via del sacrificio prescritto dall’ordine alcantarino, intraprendendo un cammino di mortificazioni fisiche e spirituali. Pratica l’astinenza totale dal cibo assimilandosi a quegli archetipi anoressici che sono peculiare attributo delle ‘sante vive’. Prediligendo il nome di Maria Francesca delle Cinque Piaghe di Nostro Signore Gesù Cristo, fa della mistica del Crocifisso il proprio contrassegno di santità e programma di vita. Pratica ogni giorno la Via Crucis, soffre la coronazione di spine, ha le piaghe alle mani e ai piedi, patisce la transverberatio, ossia la lacerazione di alcune costole dovuta alla sproporzionata dilatazione del cuore. Vive estasi, levitazioni, apparizioni del Signore e possiede doti di profezia.

Per siffatti aspetti, la sua esperienza dell’Altissimo è simile a quella di Santa Teresa D’Avila (1515/1582), ma la mistica delle due sante è affine soprattutto per quella che è stata definita la ‘dimensione dell’accoglienza’ del dono di Dio, vale a dire della comunione totale con il Cristo. Uno dei maggiori pregi di Santa Teresa D’Avila è stato quello di oltrepassare l’astrattismo dei modelli mistici tradizionali rendendoli più umani e concentrandoli sulla figura del Salvatore. Santa Maria Francesca rende il suo Cristo ancora più umano di quello di Teresa.

Don Salvatore
Il Cristo le appare e le parla sotto le spoglie di un uomo che lei chiama Don Salvatore. Per tutta vita, la santa soffre molto fisicamente e psicologicamente: ai gravi problemi di salute si aggiunge lo strazio causato dalle persecuzioni del padre e delle sorelle. A tali afflizioni fisiche e mentali, ella si autoimpone numerose e pesanti penitenze. Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe è implorata primariamente dalle donne sterili e dalle future mamme che invocano la sua intercessione per ottenere la sua benedizione per la grazia richiesta.

Nel 1958 la suora benedettina Maria Paola Adami riconduce la santa a una dimensione più umana, definendola una donna umile, tanto gracile nel corpo quanto robusta nello spirito e capace di eccezionali profezie. Un ventennio più tardi, nell’agiografia La santa delle Famiglie S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe scritta da Giuseppe Tomaselli, ‘La Santarella’ dei Quartieri Spagnoli diviene la santa delle famiglie. In tal contesto probabilmente c’è un fil rouge tra la santa e il patrocinio delle partorienti perché, nell’indicare il 25 marzo come dies natalis della Santa, l’autore sottolinea che in quella ricorrenza liturgica particolare, festa della Vergine Annunziata o dell’Incarnazione, la Chiesa ricorda il giorno in cui il Figlio di Dio prende la natura umana nel grembo purissimo della Madonna.

L’antropologo Claude Lévi-Strauss (1908/2009) ha coniato il concetto di effetto simbolico per spiegare questi avvenimenti che, in forme differenti, sono presenti in tutte le culture.

L’ultimo rito
Santa Maria Francesca è insignita popolarmente del carisma di protettrice delle partorienti e la casa-Santuario è l’ultimo rito di fertilità dell’Occidente, dove si officia una liturgia femminile che ricalca culti pagani con un substrato chiaramente arcaico. Si potrebbe dire che ‘la Santarella’ dei vicoli abbia ripreso l’eredità delle Grandi Madri, signore delle nascite e dei destini appartenenti a religioni lontane, signore numinose e luminose delle nascite e dei destini. Come le greche Demetra, Afrodite, Artemide.

O come le romane Lucina e Anna Perenna, la nutrice dell’universo, venerata dalle donne senza figli. E soprattutto la Mater Matuta, divinità romana, venerata come protettrice delle donne, principalmente delle partorienti. Il santuario della dea custodisce una folla muta di madri di pietra dagli occhi carichi d’immensità. Il culto è in Campania, nell’antica Capua. Serba qualcosa che rammenta i rituali propiziatori che le donne sterili compivano in onore delle arcaiche dee che troneggiano in una sala del Museo Campano di Capua. Stringono bambini in fasce come se fossero spighe di grano.

Questi mastodontici blocchi di tufo sono ex voto offerti alla Mater Matuta consolatrice delle gestanti. È una sacralizzazione del ciclo riproduttivo, che col tramonto delle divinità pagane investe le Madonne e le sante come Maria Francesca.