Narra la storia locale che l’antico decurionato di Castelfranco decise nel 1863 di cambiar nome al borgo adagiato alla sinistra del fiume Crati, ad ovest del capoluogo, poco sopra Cosenza. Venne scelto il nome «Castro-libero», per l’orizzonte «libero» che si gode dal monte e per le «libere» istituzioni del re (poco) galantuomo Vittorio Emanuele II. Ed è una storia di riscatto e libertà quella che molto tempo dopo si dipana in queste stesse lande. Al centro della vicenda che ha portato alla ribalta Castrolibero è una scuola: l’Istituto d’istruzione superiore Scipione Valentini- Ettore Majorana.

Urla gioiose sprizzano dalla palestra. Le ragazze ed i ragazzi giocano all’impazzata. Nell’aula magna s’è formato un tappeto di sacchi a pelo. È il segnale inequivocabile che la scuola è nelle loro mani, liberata dai frenetici tempi dall’orario didattico. Occhietti stropicciati e facce smunte dal sonno affiorano dalle mascherine. I riflettori si sono accesi su questa protesta senza precedenti: dal 3 febbraio scorso gli studenti e le studentesse occupano la scuola per denunciare i presunti abusi perpetrati da un docente ai danni di alcune loro compagne. Chiedono la rimozione della dirigente scolastica che avrebbe peccato d’ignavia, invocano il castigo immediato del presunto molestatore. Tra i tanti cronisti accorsi qui c’è anche l’informazione scandalistica che s’affaccia nel cortile della scuola. Reporter vanno a caccia di brandelli delle giovani vite, dettagli da rivendere agli «impresari dello spettacolo». Intanto ai piani alti sono arrivati da Roma gli ispettori ministeriali.

Il polo scolastico Valentini-Maiorana è una struttura moderna, immensa, con i suoi oltre 35 mila metri cubi di ampiezza, laboratori, auditorium, palestre. Nell’ottobre scorso, vi si è verificato un altro fatto inquietante: davanti ai cancelli uno dei suoi studenti è stato selvaggiamente aggredito da un altro minorenne ed ha riportato ferite gravissime. Il pestaggio sarebbe avvenuto come ritorsione per un diverbio verificatosi poco prima in classe. La madre del ragazzo, insegnante nella stessa scuola, ha denunciato che il figlio è stato «massacrato nell’indifferenza generale». Anche questo tragico episodio ha contribuito a turbare e svegliare le coscienze.

Non sono soli gli studenti e le studentesse di questa scuola. Tanti genitori ed insegnanti solidali, indignati, stanno accompagnando la loro protesta in queste vibranti giornate. Tra di loro c’è il professore Amato. Si chiama Biagio e il cognome è anche l’aggettivo ideale per definire il rapporto che i ragazzi hanno costruito con lui. «Guagliu’, mi raccomando, non danneggiate la scuola. In ogni caso, i danni dovremo risarcirli tutti insieme, facendo una colletta. Capisco che avete dormito poco stanotte. Mo però svegliatevi. Ieri ci avete proposto voi di realizzare momenti di discussione comune». Li ascolta e li sostiene come Rossella Belcastro, insegnante precaria, che accoglie e canalizza le loro richieste di contatti con docenti universitari ed esperti da coinvolgere nelle lezioni autogestite. Insieme ai ragazzi, nell’immenso cortile di un edificio scolastico che sul piano funzionale non ha nulla da invidiare al resto d’Europa, ci sono quasi tutti i loro docenti. I professori respingono con rabbia l’infame accusa che qualche frettoloso opinionista ha scagliato contro di loro: «Qui dentro ci sono i nostri figli, i ragazzi che abbiamo cresciuto. Come avremmo potuto tacere di fronte a un abominio? In una scuola grandissima, frequentata da 1500 ragazzi, come purtroppo spesso accade in una famiglia o in qualsiasi ufficio, può accadere di tutto, senza che si sappia. E noi non sapevamo. Conosciamo bene il confine tra riservatezza ed omertà».

Liberi da scadenze di interrogazioni e voti, accantonati i fuorvianti pastrocchi burocratici come il Rapporto di autovalutazione, l’estenuante quanto inutile redazione del Ptof, le rendicontazioni dei progetti, i quiz e le simulazioni delle temute Invalsi, gli insegnanti respirano, discutono e formano un cerchio democratico insieme alle ragazze ed ai ragazzi. Sabina Falcone, docente di Diritto ed Economia, realizza un’appassionante lezione all’aperto. Gabriele Petrone insegna Storia e Filosofia. Ha dato battaglia in collegio docenti, chiedendo commosso alla dirigente Jolanda Maletta di fare un passo indietro, pur riconoscendone i meriti. Irene Parise, di Scienze Motorie, rivendica l’autonomia ed il valore educativo di questa lotta. Tra i più consapevoli Marcello Malfi, di Scienze Motorie, evidenzia i danni provocati in questi due decenni dalla scuola-azienda. Armando Canzonieri, Storia e Filosofia, sin dal principio ha intavolato un dialogo costruttivo con i ragazzi e con loro ha organizzato una lunga diretta sull’emittente indipendente Radio Ciroma.

E poi ci sono gli occupanti. Fausto è un portavoce instancabile. Rimbalza tra un’assemblea e l’altra. Coordina, organizza, risponde con lucida maturità alle domande dei cronisti, media i conflitti. Il padre è stato uno dei primi firmatari del documento che appoggia la ribellione del figlio e dei suoi compagni. «Per noi questa lotta rappresenta una strada che speriamo ci conduca alla libertà – spiega Carla, una delle ragazze più attive nel comitato di occupazione -. Soprattutto, è un modo per tenere veramente viva la nostra scuola. In questi anni non abbiamo ottenuto ascolto dalla dirigenza. Se non ci fosse stata la denuncia delle nostre compagne sulla pagina Instagram Call out questa vicenda sarebbe caduta nell’indifferenza. Non ci fermeremo finché non avremo ottenuto giustizia».

Saranno queste le rivendicazioni della manifestazione studentesca che oggi attraverserà le strade di Cosenza. Arriveranno studenti e studentesse solidali da tutta la provincia. Avranno voce potente. Come altre volte è accaduto nella storia della città.