Certi film sembrano avere il destino racchiuso nel titolo. Tra 1967 e 1968, dopo capolavori come L’incidente (che pur già deludevano i suoi primi sostenitori di «Présence du cinéma»), e prima di una nuova fase di film apprezzati da nuovi cultori, l’americano esule in Europa dal maccartismo Joseph Losey realizzò un dittico con protagonista Elizabeth Taylor, La scogliera dei desideri e Cerimonia segreta, che furono accolti generalmente come uno sbandamento, con pochissime eccezioni tra cui chi scrive può annoverare se stesso che ne fu subito entusiasta. Oggi preferirei il secondo dei due film, paradossalmente più tennesseewilliamsiano del primo, seppur dovuto a diverso sceneggiatore, mentre il primo, tratto dallo stesso Williams da un suo testo teatrale già due volte colpito dall’insuccesso, ha a tratti l’aria di un’autoparodia, e non a caso il massimo cultore del film diventa John Waters, che compare ora nel pregevole documentario di Sergio Naitza L’estate di Joe, Liz e Richard, in anteprima alla Festa di Roma, insieme all’esegeta di «Positif» Michel Ciment, alla moglie del regista Patricia Losey, alla sopravvissuta del ristretto cast, l’allora giovanissima canadese Joanna Shimkus, a vari collaboratori (dal produttore Valerio De Paolis al gioielliere Gianni Bulgari) e a molti testimoni sardi coinvolti nella lavorazione.
Poiché per Naitza si tratta di una tappa ulteriore del suo importante lavoro di rivelatore di quella che potremmo chiamare una «centralità segreta» della remota Sardegna nel cinema italiano e internazionale. Centralità ben colta (come lo potrebbe essere per la letteratura e la scienza giuridica con Salvatore Satta, o per la politica del dopoguerra italiano), se anche oggi alcuni cineasti sardi, e in particolare Salvatore Maira, sono tra i più interessanti del cinema italiano. Naitza ha così documentato, dapprima in collane dvd con accurati booklet, i set e i temi sardi, a partire dal capolavoro muto La grazia di Aldo De Benedetti ispirato a Grazia Deledda, e ha poi realizzato film (tra altri di diversa ambientazione) su Tiberio Murgia (sardo specializzato in ruoli da siculo, quasi invertendo il geniale sardizzarsi del siculo-calabro De Seta), su Padre padrone e altri a venire (tra cui sulla magnifica attrice Maria Frau).

TORNANDO a La scogliera dei desideri, si diceva del titolo, che se nella versione italiana sembra parodiare il classico williamsiano Un tram che si chiama Desiderio preannunciando l’esito mancato dell’operazione, nell’edizione originale è addirittura Boom, poi scritto in variante con punto esclamativo finale, che fa deliziare Waters, poiché il riferimento al rumore delle onde, reso quasi epico dal set sardo, diventa già un incoraggiamento a culti da brutto-cioè-bello, e naturalmente per Leonard Maltin il giudizio sul film sarà un quasi tautologico «Bomb».
Ma le testimonianze raccolte da Naitza aiutano a capire che di ben altro si tratta. Cioè di un film che in un albergo lussuoso costruito da poco su una scogliera a strapiombo sarda, e che verrà demolito quasi con contrappasso ecologico da disastri naturali, riunisce un perverso sguardo sulla ricchezza capitalistica come bene futile, di cui semmai fruire in un mordi e fuggi (e tutti i collaboratori sardi rivelano di essere stati pagati bene come mai), in cui Elizabeth Taylor può ostentare i suoi gioielli ordinati da Bulgari e gli abiti di Lagerfeld, e i lauti pranzi sono condivisi con tutta la troupe oltre ogni divisione di classe. Insomma un’utopia che scavalca l’imminente 68 e persino il 77: poteva un film così, che non si cura di coerenze narrative, andar bene in sala? Ed ecco che anche i racconti aneddotici sul set sono più rivelatori che mai, come quello dell’attore nano Michael Dunn che, abbandonato durante la lavorazione da una showgirl altissima, ostenta davanti alla troupe il suo membro conquistandosi il nomignolo «l’uomo dalle tre gambe».

Ma le testimonianze raccolte da Naitza aiutano a capire che di ben altro si tratta. Cioè di un film che in un albergo lussuoso, riunisce un perverso sguardo sulla ricchezza capitalistica come bene futile

Ma anche di Joanna Shimkus, per cui nacque un amore sul set e che rivela che Losey la lasciava recitare in libertà da contorno a una regia invece stretta sui due protagonisti. Che sono la coppia Vip Taylor-Burton, entrambi interpreti williamsiani per eccellenza, e che qui sembrano realizzare l’utopia perfetta del lusso condiviso e dei piaceri senza freni (alcol soprattutto) nati dall’incontro faraonico di Cleopatra; altro capolavoro che programmava il proprio fallimento. Anche se confesserò che per me il capolavoro assoluto della coppia è l’intermedio Castelli di sabbia che come sempre in Minnelli è capace di un aristocratico abbandono anche al reale della vita, della storia e del sociale.
Il documentario svela che altri interpreti rifiutarono il film, da Katharine Hepburn a Ingrid Bergman, mentre per il ruolo comprimario che alfine arriva a un altro commediografo, l’omosessuale (come Williams) Noël Coward, fu prevista dapprima una donna, e poi il loseyano Dirk Bogarde che rifiutò.

INSOMMA un film-limite in cui tutto esplode come nel suo titolo. E la Sardegna stessa vi diventa un luogo-limite, quasi da powelliano Edge of the World. Rispetto all’imminente 68 esso ha la stessa potenza metaforica delle esplosioni finali in Zabriskie Point di Antonioni che è però già la contemplazione di un passato, mentre qui ci troviamo davanti un film che uscirà in sala proprio nel maggio 68, e i suoi più consoni spettatori saranno fuori dalle sale.
Oggi amo di più tuttavia il successivo Cerimonia segreta anche se perde Burton e la Sardegna. Losey comincia a cercarvi nuove quadrature del cerchio, ed è interessante che quel film segnerà una temporanea riconciliazione coi fautori macmahoniani. Ma la perversione a perdere di La scogliera dei desideri vi diventa più intensa e appunto «segreta» come il miglior cinema esige. Qui invece tutto è, paurosamente, quello che è, e dunque tutto vi è destinato a sparire dal mondo.