«È come presentarsi sulla scena di un disastro aereo con una tavoletta di cioccolato. Tragedia ovunque e tu: ’ne volete un pezzo?’. In altre parole, è ridicolo. Quello che non è ridicolo, però, è continuare a battersi per le sfumature, la precisione e per delle soluzioni».

BATTUTOSI per 16 anni – in nome di quelle sfumature, precisione e soluzioni – da dietro alla scrivania del «Daily Show», Jon Stewart descrive con la frase di sopra il suo ritorno in scena. Quasi completamente assente da grandi e piccoli schermi, a partire dal 2015, quando lasciò il Tg satirico che lo rese uno degli osservatori più affilati della scena politico/mediatica Usa, Stewart torna al grande pubblico con il suo secondo film da regista, Irresistible.

Nel mondo pre-pandemia, l’uscita del film era prevista per fine maggio, in coincidenza con la fase finale delle primarie presidenziali – il tempismo non casuale visto che il protagonista del film è uno stratega politico democratico alla ricerca del perfetto candidato per il Middle America. Nell’estate cinema del Covid 19, con Joe Biden candidato democratico praticamente invisibile, Irresistible scavalca completamene la sala arrivando subito in piattaforma, dove lo si può vedere da casa, sborsando la cifra considerevole di quasi venti dollari -quindi più di un biglietto per il cinema.
Tutto da vedere come andrà questo esperimento di prima visione da Major online (su questa pratica, la Universal, per ora, sembra essere più aggressiva degli altri). Intanto però parliamo del film.

COME SPESSO nel «Daily Show», gli strali più affilati della satira di Stewart sono rivolti non tanto a un personaggio piuttosto di un altro (non ci è purtroppo stato dato di vedere cosa avrebbe fatto con Trump), quanto alla macchina/burocrazia stessa della politica americana, e alla multimilionaria macchina mediatica che l’alimenta. Come sempre nel caso di Stewart, la sua satira è allegramente bipartisan – il che forse spiega perché, in tempi polarizzati e di scarso humor come questi – la maggioranza della critica Usa abbia stroncato questa sua commedia dolce e appuntita allo stesso tempo, un mix di Capra e dell’Altman di Tanner ’88.

Il film dà il tono con un montage di immagini di candidati presidenziali – da Kennedy a Johnson a Nixon a Sarah Palin e Hillary Clinton – visibilmente a disagio in varie photo op con l’heartland a stelle e strisce – cibi indigeribili, camice a quadri, fieno… Lo stratega Gary (Steve Carell) appare in un fotomontaggio di fianco a Hillary, alle prese con una fetta di cheesecake. Bruciato dalla clamorosa sconfitta della sua cliente, e senza lavoro, Gary decide di rilanciare la sua carriera a partire proprio da quella parte di America che la campagna Clinton aveva sottovalutato. È un suo giovane assistente (Tropher Grace) a segnalargli il clip di un consiglio comunale di un paesino del Wisconsin, in cui un colonnello in pensione, Jack Hastings (Chris Cooper), si scaglia valorosamente contro una proposta di legge che limiterebbe i diritti dei lavoratori migranti. Convinto di aver trovato il suo eroe – o il suo pollo, Carell è un genio nell’amalgama di cinica convinzione e accondiscendenza che anima il suo personaggio – Gary si precipita a Deerlaken, Winsconsin, dove convince Hastings a candidarsi come sindaco.

STEWART alterna quadretti rurali e classiche scene del privilegio urbano di Gary che stride con le il «rustico» locale, a squarci di una Main Street in cui gran parte dei negozi sono sbarrati. Con la chiusura della base militare locale, la popolazione di Deerlaken è scesa da 15,000 a 5,000. Come tutta la satira di Stewart, Irresistible non è un film per spettatori pigri, bensì pieno di piccole notazione complesse. La fama del candidato perfetto, dal Wisconsin arriva a Washington e, in breve arriva a Deerlaken la nemesi repubblicana di Gary, Faith (Rose Byrne, in stile Kellyanne Conway), assunta dall’avversario politico del colonnello. Il circo è completo e i milioni di dollari cominciano ad arrivare da tutta l’America (molto divertente il viaggio di Hastings a New York, in un salotto di mega-donors) per finanziare la corsa al municipio del paesino… Happy end finale, ma non quello che ci si aspetta.