Alle radici della canzone italiana del Novecento, c’è uno scoppio d’ilarità, ‘A risa di Bernardo Cantalamessa, un irresistibile e contagiosa sequenza che provoca la ridarella, è del 1896, un brano entrato nel repertorio di tanti comici di varietà perché le canzoncine ironiche, le macchiette, le parodie salaci facevano capolino negli intervalli dell’avanspettacolo, il genere che trasbordò dal cafè-chantant alla radio. E quindi si può dire che l’industria italiana del disco sia nata ridendo e poi lungo la strada abbia incontrato balocchi e profumi, papaveri e papere, malinconico autunno e buongiorno tristezza.

 

 

 

 

Ve li ricordate Pace-Panzeri-Pilat? Il tormentone di tanti festival di Sanremo, gli autori di un profluvio di canzoni, nomi indelebilmente appiccicati alle melodie televisive. Ebbene il milanese Mario Panzeri, straordinario autore di testi e compositore, se l’è passata brutta per brani come Maramao perché sei morto, Pippo non lo sa e Il tamburo della banda d’Affori, tutte innocue fantasie musicali dove però la censura fascista ravvisava riferimenti alla scomparsa del conte fascista Galeazzo Ciano (alcuni studenti scrivono le parole del ritornello sulla base del monumento in sua memoria), alle abitudini del gerarca Achille Starace (che sfilava per il corso cittadino avanti e indietro, in divisa d’ordinanza) e persino un allusione al comandante-tamburo Mussolini coi 550 pifferi (i componenti della Camera dei Fasci e delle Corporazioni).

 

 

 

 

E anche quei sovversivi di Gorni Kramer e Natalino Otto, amanti dei ripudiati ritmi jazz d’oltreoceano, finiscono nei guai per Birimbo Birambo e Ho un sassolino nella scarpa, poiché il nonsense fa ipotizzare «messaggi cifrati al nemico». Panzeri poi scriverà centinaia di canzoni di successo (da Grazie dei fior a Non ho l’età, da Casetta in Canadà a Nessuno mi può giudicare) e anche la perla del doppiosenso, lo stornellabile testo di Ai Romani piaceva la biga, depositata in Siae nel 1953 ma incisa solo nel 1962 da Ruggero Oppi. Da lì in poi verranno Squallor, Elio e le Storie Tese, Francesco Nuti (quello di Puppe a pera) e Federico Salvatore (‘Azz), ognuno ben raccontato e citato.

 

 

Tutte queste informazioni sono messe in fila e analizzate attentamente in Skan-zo-na-ta, sottotitolo La canzone umoristica da Petrolini a Caparezza (edito da Skira, euro 16,50), libro di Roberto Manfredi, ex discografico, organizzatore di concerti e autore televisivo, soprattutto grande appassionato di musica, che ha raccolto questi tesori d’ispirazione e di creatività attraverso serate con amici, interminabili telefonate e lunghe interviste tanto che la prima stesura di questo volume contava oltre seicento pagine, adesso si ferma a 250.

 

 

Dentro ci sono davvero quasi tutti (Lelio Luttazzi, Marcello Marchesi e Renato Rascel li ha scritti ma sono stati tagliati, suggeriamo Armando Gill, Tony Tammaro e Gianfranco Marziano per la prossima edizione) compresi I Figli di Bubba, dove militavano l’autore Roberto Manfredi e Alberto Tonti, il curatore del volume, a conferma di una vena satirica, forse spenta forse varicosa forse di Forlì, che viene da lontano.

 

 

Tra testi esemplificativi, aneddoti curiosi e traiettorie ragionate, il libro strappa più di una risata e si fa leggere agevolmente. Questo atlante della canzone umoristica comincia con Petrolini («Petrolini è quella cosa/che ti burla in ton garbato/poi ti dice: ti à piaciato») e Rodolfo De Angelis («Bravo ma come parla bene»), passando, tra gli altri, per Carosone, il Quartetto Cetra, Fred Buscaglione, i Brutos ( trionfatori anche all’Olympia di Parigi); Enzo Jannacci, Dario Fo, Gaber, Cochi e Renato. Ma anche l’instant song surreali di Franco Nebbia (come Borsa cha-cha-cha con l’elenco di tutte le azioni quotate) e l’irresistibile Freak Antoni, punkettaro situazionista, il suo «ragliare» è l’autentico motore di una rivoluzione culturale tagliente, senza dimenticare i fulminanti Sandro Oliva e Paco d’Alcatraz.