Milano anni ’60, un momento particolare per la cultura e lo spettacolo. Dario Fo e Franca Rame sono in grande spolvero, pur cacciati dalla Rai, Cochi e Renato e Enzo Jannacci sfornano gioielli di poesia surreale, Giorgio Gaber e Adriano Celentano cesellano canzoni e tutti i cantautori si aggirano in galleria del Corso in cerca di scritture e contratti, pronti a farsi conoscere. Franco Nebbia canta addirittura in latino il suo Vademecum tango, oltre naturalmente al Piccolo teatro che prosegue il suo cammino classico con qualche apertura a spettacoli sperimentali.

In questo contesto Giovanni Gandini, tuttofare editoriale, importa dagli Stati Uniti i Peanuts di Charles M. Schulz e li pubblica prima in un libro (Arriva Charlie Brown, 1963, maglietta a righe come quelle dei ragazzi di Genova ’60, ma Schulz non poteva saperlo), poi su una rivista creata per l’occasione: linus (rigorosamente minuscolo, di molto anteghezzi). Siamo nell’aprile del 1965.

L’editore della rivista, come del precedente volume, è Milano Libri, entità allora conosciuta come libreria in via Verdi, accanto alla Scala, gestita da Annamaria Gregorietti, moglie di Gandini. Un vero tempio per tutti gli appassionati di fumetti, ma anche di libri in lingua straniera, di cinema, di arti visive, autentico crocevia di iniziative, nello scantinato, tra i tanti, trovano spazio le sulfuree visioni di Topor, poi anche quelle volatili di Folon.

Linus però non si limita a ospitare le strisce di Linus (van Pelt, con coperta appoggiata alla guancia, immortalata sulla prima copertina), Charlie Brown, Lucy e il bracchetto Snoopy (alle prese con il suo romanzo dall’incipit divenuto celeberrimo «era una notte buia e tempestosa»), ci sono altri fumetti per grandi: Li’l Abner, Crazy Cat, Popeye. Non solo, perché sul primo numero c’è un’autentica rarità rappresentata da un’intervista di Umberto Eco a Elio Vittorini e Oreste del Buono a proposito proprio di Charlie Brown e della cultura dei fumetti.

Nei numeri immediatamente successivi si affacciano altri nomi importanti come Guido Crepax e la sua Valentina, Enzo Lunari e Girighiz, la preistoria di B.C., Pogo, il mago Wiz e ancora Copi, Feiffer, Wolinski. Un’escalation irresistibile. Senza trascurare la pagina dei Wutki, giochi matematici, nonsense magistrali e gli inarrivabili limerick curati da Sergio Morando.

Linus non è una rivista per ragazzini, che pure la leggono con avida curiosità, un po’ come se fosse la chiave per uscire dall’infanzia, entrare nell’adolescenza e scoprire un mondo nuovo. Nonostante  sia reperibile in tutti i salotti buoni e con un posto di rilievo, i costi gestionali sono elevati. Così, agli inizi degli anni ’70, la direzione passa da Gandini a Oreste del Buono che architetta un piccolo machiavello per salvare capra e cavoli. Utilizzando credito e entrature, Oreste riesce a convincere la Rizzoli a rilevare la Milano Libri. Operazione perfettamente riuscita, con un piccolo problema: la «deportazione» della redazione presso la sede Rizzoli, in fondo a via Civitavecchia, periferia vicina al parco Lambro.

La grande casa editrice ha le sue regole nei confronti di testate e dipendenti e alle costole dell’anomalo linus piazzano Luciano Pedrocchi come commissario. Alla Rizzoli, l’uomo che aveva inventato il fotoromanzo con Bolero è apparso il più adatto a controllare una rivista di fumetti. Ma avevano fatto i conti senza la combattiva anarchia di OdB che riuscì anche a svincolare la sua redazione dall’odiato cartellino.

Gli scrittori italiani più versatili (tra cui Serra, Tondelli, Benni, Baricco) e gli autori di fumetti più acuti sono passati da linus (due nomi per tutti: Altan e Vauro). Alcuni di questi ultimi hanno pubblicato le loro tavole su linus prima di aprire altre testate (Frigidaire, Cannibale), ma OdB li ha omaggiati anche dopo; Filippo Scozzari, Andrea Pazienza e Tanino Liberatore vengono salutati da lui come autentici geni innovatori.

Più problematici, invece, i rapporti con Hugo Pratt e Dino Battaglia. Nel 1981 è Fulvia Serra, già in redazione, a prendere il comando della rivista in qualità di direttore. OdB è genialmente volubile, anni dopo si vanterà del suo personale record: la direzione di oltre cento testate giornalistiche. Un record conseguito per il prestigio, ma naturalmente costellato da innumervoli dimissioni.

Si arriva così al 1995, la Rizzoli vuole defilarsi dalla rivista, all’orizzonte rispunta OdB con una nuova veste: sta collaborando con Alessandro Dalai, suo nipote, per gestire la casa editrice di quest’ultimo, la Baldini & Castoldi. E, forse per nostalgia, forse per riconoscenza, linus viene rilevato da Dalai, la direzione riaffidata a zio Oreste, mentre Fulvia Serra viene giubilata. Il resto è storia recente, linus rimane agganciato a Dalai, anche dopo le vicissitudini della casa editrice. Nella tarda primavera del 2013 la rivista interrompe le pubblicazioni, per riprenderle dopo un paio di mesi, sino al raggiungimento di questo cinquantesimo compleanno.

C’è però una dolorosa postilla, Georges David Wolinski, genio irriverente che ha fornito innumerevoli illustrazioni e grande amicizia a linus, morto assassinato con altri colleghi innocenti nell’attacco a Charlie Hebdo. Linus offriva un’infinità di spunti per sorridere o anche ridere, solo che dopo quelle risate qualcosa rimaneva e si cominciava a riflettere su un mondo pervaso da mille contraddizioni ma che sembrava volesse pervicacemente trovare uno sbocco positivo. Era questo il tratto caratteristico del linus delle origini, del suo successo e del suo ruolo.

Oggi i tempi sono davvero cambiati, il mondo è incarognito e si può anche arrivare a morire di satira. Come si può morire violentemente in tanti altri modi. Tutti ingiusti. Forse per questo avremmo bisogno di quella coperta miracolosa che, unita al pollice in bocca, sembrava in grado di tenere lontani tutti i cattivi pensieri. Almeno sulla carta.