Prima di George Floyd c’erano Rayshard Brooks e Breonna Taylor, e poi Philando Castile, Sandra Bland, Freddie Grey, Tamir Rice, Mike Brown. Le pratiche violente e discriminatorie della polizia sono parte dell’esperienza quotidiana dei neri negli Usa da molto prima che i social media venissero utilizzati per denunciarli. Prima di Instagram, Facebook, Periscope e Twitter, infatti, era il rap a raccontare lo «spettacolo» della brutalità e dell’assassinio non controllato da parte della polizia, anticipando quella che nel 2020 si sarebbe trasformata in una crisi nazionale. E così come i Dead Prez nel 2000 rappavano in Hip-Hop, «Questo è vero hip-hop e non si fermerà finché non avremo fatto sloggiare i poliziotti dall’isolato», così oggi gli slogan chiedono il taglio dei fondi – #DefundThePolice – e la decentralizzazione – #DecentraliseThePolice – della polizia. Ancora una volta le liriche hip hop rappresentano e interpretano al meglio lo spirito dei tempi. Ecco alcuni tra i pezzi più emblematici.
N.W.A Fuck tha Police (1988)
Nella seconda metà degli anni Ottanta, nelle strade di Los Angeles era in atto una guerra: polizia locale vs gang cittadine. La traccia interpreta perfettamente lo stato d’animo di una generazione di giovani neri stanchi di abusi e violenze continue. Nell’intro del pezzo, il gruppo ribalta le dinamiche del potere con Dr. Dre nel ruolo del giudice e Ice Cube, MC Ren e Eazy-E in quello del procuratore. L’imputato è il dipartimento di polizia, l’accusa: razzismo. La traccia è diventata una delle canzoni più controverse nella storia del rap e non solo. Fuck tha Police condanna, utilizzando per la prima volta liriche esplicite, le pratiche discriminatorie della polizia, portando un attacco frontale senza esclusione di colpi. Tra i versi, oltre a quello che manda a quel paese il soggetto in questione del titolo, anche: «Mi è andata male perché sono marrone e non di quell’altro colore, in questo modo la polizia pensa di avere l’autorità per uccidere una minoranza». Il singolo scatenò una diffida ufficiale dell’Fbi nei confronti del gruppo ed esasperò definitivamente i già difficili rapporti con le forze dell’ordine.
ICE CUBE Endangered Species (Tales from the Darkside) feat. Chuck D (1990)
Per il suo primo album solista, Amerikkka’s Most Wanted, Ice Cube si trasferisce a New York e collabora con la Bomb Squad, i producer dei Public Enemy. Grazie a quell’incontro, l’attitudine ribelle dei suoi giorni con gli N.W.A si arricchisce di una nuova dimensione politica. Dopo un’intro in cui alcuni giornalisti annunciano l’aggiunta della categoria giovani neri all’elenco delle specie in via di estinzione, Ice Cube inizia a rappare liriche che, alla luce delle proteste che sconvolgono gli Usa in questi giorni, risuonano assordanti per quanto poco sia cambiato dai quei primi anni Novanta. Con un altro «nigga» spedito all’obitorio. Endangered Species dipinge una realtà che anticipa di due anni gli eventi che portarono alla rivolta di Los Angeles del 1992.
BODY COUNT Cop Killer (1992)
I Body Count sono una band metal con Ice-T, uno degli originatori del gangsta rap, come frontman. La scelta di un sound metal, musica percepita come bianca, con l’aggiunta di uno slang black, aveva l’obbiettivo di far conoscere ai ragazzi bianchi le esperienze vissute dalla loro controparte nera: com’è ovvio, la difficile relazione tra comunità nera e polizia, è il tema dominante del brano. Cop Killer provocò una forte reazione mediatica e istituzionale, al punto che George H.W. Bush, arrivò a criticarla in prima persona in un suo discorso, garantendo così al pezzo una popolarità inaspettata e rendendo Ice-T uno dei primi martiri del diritto alla libertà d’espressione. Tra i versi: «L’ammazza poliziotti, meglio tu di me, fanculo la brutalità della polizia/Lo so che la tua famiglia soffre, ma stasera siamo pari».
KRS-ONE Sound of Da Police (1993)
«Cambia l’atteggiamento, cambia il piano, non potrà mai esserci davvero giustizia in una terra rubata». In questo pezzo, divenuto un classico del rap, KRS-One si interroga su come sia possibile ottenere giustizia in un paese costruito sul genocidio e lo schiavismo, per poi tracciare una connessione diretta tra il ruolo della polizia e quello dei sorveglianti agli ordini degli schiavisti. Non contento, il rapper rivolge poi le sue critiche direttamente ai poliziotti di New York City, criticandone l’uso eccessivo della violenza, gli abusi e la corruzione, che condizionano le loro relazioni con la comunità afroamericana. Sul finale, l’Mc rende personale il resoconto, evidenziando come queste esperienze siano parte del vissuto della sua famiglia e ci lascia con un interrogativo urgente: «Quando finirà?».
AA.VV. Hip Hop for Respect (2000)
Sulla scia del clamore per l’assassinio dell’immigrato 23enne originario della Guinea Amadou Diallo, crivellato da 41 colpi di pistola dagli agenti del dipartimento di polizia di NYC, Mos Def e Talib Kweli hanno riunito i migliori Mc della scena underground (nomi del calibro di Pharoahe Monch, Common, EL-P, Jean Grae, Dead Prez e molti altri) per realizzare l’ep Hip Hop for Respect dedicato a Diallo e a tutte le vittime della brutalità della polizia. Le collaborazioni che hanno portato alla realizzazione di brani come One Four Love (part 1/2), Protective Custody e A Tree Never Grown hanno gettato i semi dell’attivismo nell’hip hop. In quest’occasione infatti, per la prima volta una sorta di all-star della scena rap ha unito le forze per combattere uno dei problemi che più affliggono le comunità non bianche.
KILLER MIKE Don’t Die (2012)
Il pezzo è un omaggio a Fuck tha Police degli N.W.A, ricalcandone temi e stile musicale. Killer Mike fa diverse allusioni ai creatori di quel sound di protesta ed evidenzia come da allora nulla sia cambiato. Sebbene nel testo non vi siano riferimenti specifici a vittime della brutalità poliziesca, Don’t Die è stata pubblicata in risposta all’omicidio di Trayvon Martin, un giovane nero ucciso non da un poliziotto, bensì da George Zimmerman, un cittadino comune che ha intravisto nell’adolescente una minaccia per via di quel mix letale: la pelle nera e una felpa con cappuccio. Il pezzo si apre con il protagonista che si sveglia con la pistola di un poliziotto puntata addosso; questi gli dice che stanno cercando un nero in fuga e lui: «Ma che cazzo ci fate a casa mia (sporchi maiali)».
T.I. Warzone (2016)
Il brano è una denuncia del clima di terrore che si vive nella comunità nera, definita zona di guerra, e ripercorre in rima gli assassinii di Trayvon Martin, Tamir Rice, Philando Castile. «Non lo vedi che stiamo vivendo in una zona di guerra, che ogni fine settimana ne muore uno». Nel video che accompagna il pezzo, T.I. inverte provocatoriamente i ruoli: le vittime diventano gli aggressori e viceversa, ribaltando la narrativa tradizionale, generando così un forte disagio negli spettatori poiché li porta a comprendere come il fattore scatenante sia il razzismo. Il video termina con una citazione: «Il nuovo razzismo, è negare l’esistenza del razzismo».
RUN THE JEWELS Walking in the Snow (2020)
In un verso Killer Mike si domanda come «io non riesco a respirare e tu te ne stai seduto a casa sul divano e lo guardi in tv». Nel brano il rapper critica l’insensibilità con cui i mezzi d’informazione e il pubblico affrontano i tanti omicidi commessi dalla polizia contro afroamericani disarmati.Quel «non riesco a respirare» rimanda direttamente all’omicidio di Eric Garner, avvenuto nel 2014 a New York ma è tornato tristemente attuale in questi giorni con il caso George Floyd.