Nel Dizionario dei luoghi comuni, alla voce Direttorio, Gustave Flaubert, con il suo consueto stile lapidario, scriveva: «La vergogna – In quel tempo l’onore si era rifugiato nell’esercito – Le donne a Parigi giravano nude». Il disagio di fronte ai principi rivoluzionari traditi, il crescente e inesorabile potere dei militari e la riscoperta e ostentata libertà dei costumi dei nuovi ricchi restituiscono plasticamente il tableau vivant di un periodo storico tanto misconosciuto quanto centrale. Il periodo direttoriale, «questo non luogo della memoria», schiacciato tra due figure ingombranti come quella di Robespierre e di Napoleone, è un laboratorio di elaborazione politica e costituzionale dove si gettano le basi di una teoria moderna del governo rappresentativo.

A questo tormentato periodo – che procede dalla costituzione del 1795 al colpo di stato di Napoleone del 1799 – dedicano un importante volume Marc Belissa e Yannick Bosc, Nel labirinto della Rivoluzione francese La Repubblica senza democrazia del Direttorio (traduzione e cura di Alessandro Guerra, Derive Approdi, 2021, pp. 224, € 18,00). Una Repubblica conservatrice, quella affermatasi in questo lasso di tempo, basata esclusivamente su istituti giuridici rappresentativi e censitari, dove le assemblee primarie, il cuore della costituzione materiale giacobina, espressione della capacità del popolo di controllare il potere, divengono il bersaglio polemico privilegiato della nuova classe dirigente e della cosiddetta jeneusse dorée, emblematicamente rappresentata dagli Incroyables e dalle Merveilleuses, uomini e donne che ostentavano lusso e stravaganza in reazione all’eguaglianza sociale e al rigore morale del periodo robespierrista.

Un sistema rappresentativo dunque che non nasce in Francia negli ambienti liberali di inizi Ottocento, ma trova le sue radici nello scontro intellettuale che avvenne durante l’Autunno della Rivoluzione. Certo, un governo rappresentativo, come ci ricorda Guerra nel denso saggio introduttivo, edificato a scapito delle forze popolari e dell’esercizio della democrazia diretta. Un’idea di rappresentanza borghese e censitaria tutta centrata sul binomio, risalente alla tradizione anglosassone seicentesca, di liberty and property, endiadi che sarebbe divenuta dominante proprio nel «lungo» Ottocento, il secolo del trionfo della borghesia: la proprietà divenne costitutiva della società.

L’idea avrebbe incontrato forti resistenze, la più macroscopica delle quali fu la Congiura degli Eguali di Babeuf del 1796. Se è vero dunque, come ricorda il sottotitolo del volume, che il Direttorio fu la realizzazione di un modello repubblicano epurato dai principi della democrazia, per lo meno nella sua accezione giacobina, tuttavia la stessa Costituzione direttoriale, sicuramente meno avanzata sul piano dei diritti di cittadinanza rispetto al precedente montagnardo, lascia aperti gli spazi per allargare il modello repubblicano a istanze pluralistiche. Spazi che tuttavia saranno colmati dai soldati di Bonaparte.