Sicuramente Andrea Camilleri è la figura più «letteraria» nella cultura italiana contemporanea. Nessuno come lui è stato tanto celebre, tanto conosciuto (ed acquistato in libreria), quanto identificabile con le sue opere e con le sue idee. Non le ha mai nascoste, mentre sui libri pubblicati presso casa Sellerio ha avuto negli anni qualche ritrosìa, e quasi una malcelata timidezza autoriale. Non perché non ci credesse, ma perché era proprio del suo carattere schermirsi, tenere i piedi ben piantati per terra, non cedere alle lusinghe di tutti, una vita «ritirata» nella sua casa di via Asiago, anche se poi, una volta ammessi, la sua cordialità era incontenibile, come la fantasia cui ha dedicato tutta la vita.

DALLE SABBIE E FOSCHIE della natìa Porto Empedocle, fino ad essere lo scrittore più amato dagli italiani, sornione e geniale dietro una rigorosa quanto apparente semplicità, cui ha dato forma pubblica, e successo planetario, quella sorta di suo alter ego (simpatia, buon senso, e uno straordinario intuito) Luca Zingaretti, il commissario Montalbano, il più amato dagli italiani, e non solo.

Camilleri ha sempre amato la «rappresentazione», che può diventare con lui più vera del vero. E viene da lontano quella sua capacità di raccontare storie piene di verità, e quindi di altissimo impatto, assumendo una forma popolare e accattivante per lettori d’ogni tipo e di ogni livello culturale. La sfida, vinta a novant’anni, è stata l’anno scorso la sua «scesa in campo», in prima persona, al teatro greco di Siracusa, a condividere egli stesso la cecità dell’indovino Tiresia, calamitando pubblico e successo straordinari. Che si preparavano al bis, proprio in questi giorni, con l’attesissimo percorso attorno a Caino, previsto alle Terme di Caracalla. Ma quella strada era stata intrapresa, appunto, da lontano. Scegliendo una posizione chiarissima e di sinistra nella vita civile, e frugando nella scrittura del suo conterraneo Pirandello. E poi, arrivato a Roma, e ammesso con qualche fatica (essendo considerato «comunista») in Rai, il lavoro umile ma incontenibile sul teatro. Del resto, proprio a cavallo della metà del secolo, si era diplomato regista all’Accademia nazionale d’arte drammatica. E a lui, in radio e poi in tv, si devono innumerevoli realizzazioni rimaste famose.

MENTRE INSEGNA al Centro sperimentale di cinematografia, e poi per molti anni alla stessa Accademia Silvio D’Amico, porta in tv i primi Beckett (con la coppia Celi-Rascel), e Ionesco, e altri «sconosciuti» di grande avvenire. E nello stesso tempo lavora alla Masiero/Laura Storm, al Tenente Sheridan, e perfino al mitico Maigret di Gino Cervi. Con la sua voce tabaccosa e roca, alleva in Accademia diverse generazioni di attori, con qualche successivo gesto di «restituzione», come oggi si usa dire, ma che restituisce soprattutto la sua coerenza di formazione e il suo sempre maggiore acume nel leggere il mondo e le persone. Un esempio per tutti, e non tra i più noti: la riscrittura per le sue antiche allieve d’Accademia, le attrici Miti Pretese, (una riscrittura che è una reinvenzione) del pirandelliano Questa sera si recita a soggetto, che sa di sensi e di zolfo come un grande melò del cinema hollywoodiano.