Il film è un rullo di colpi di scena sessuali, fin dalla sequenza-choc d’apertura, ancora nel buio dei titoli di testa, dello stupro subìto dalla protagonista, davanti agli occhi ferocemente impassibili del gatto. In uscita in Italia dal 23, a quasi un anno dall’ultimo Cannes, dove Isabelle Huppert per l’interpretazione stavolta davvero straordinaria avrebbe meritato l’ennesimo premio (poi ampiamente ‘recuperato’ ai Golden Globes e ai francesi Lumières e César, mancando di poco l’Oscar), Elle è stato un immediato, prevedibile tamtam di pubblico e riconoscimenti, anche per il regista, Paul Verhoeven, tornato europeo, dopo Hollow Man di 17 anni fa. Il suo nuovo titolo di reduce hollywoodiano è un altro capitolo di trasgressività estrema, abilmente condita d’ironia viperina, che gli merita di nuovo il soprannome di ‘Olandese violento’, dovuto alle origini fiamminghe e ai terremoti erotici o bellici grande schermo, da Basic Instinct all’incandescente Showgirls, a RoboCop, Total Recall, Starship Troopers.
Lei – Elle : Isabelle Huppert, 64 anni compiuto il 16 marzo, insettino magnetico, la bocca larga di donna determinata, la lama spiovente dello sguardo velata da ciglia fini e aguzze, i capelli perfettamente lisci e spioventi che un tic la spinge a riaggiustare di continuo durante l’incontro, elegante giacca di seta rossa sul grigio perla dei pantaloni – miscela nelle risposte una docilità riottosa. Dopo la catena di montaggio di domandine dei plotoni di 10 giornalisti per volta ogni 20 minuti ai Rendez-vous di Unifrance, la conversazione fortunatamente si rimpolpa alla 22ma cerimonia di premiazione dei Lumières al Théâtre de la Madelaine.
Per la prima volta al cinema la donna, violata, non accetta il suo destino di serie B ma reagisce in modo inatteso. È questa anomalia che l’ha calamitata verso il film ?
È un personaggio del tutto inedito, un prototipo, mai visto prima: introvabile nella vita quotidiana. È stato eccitante incarnare quest’eroina di nuovo stampo, una specie di post-femminista: una donna d’oggi, che, con sprezzo per quel che le è successo, non si chiude nel ruolo di vittima ma prende il controllo della violenza subita. Nessun trionfalismo vendicativo alla James Bond Girl. Ma neanche la negazione di quanto è successo. Persino, una certa attrazione per il male. In fin dei conti, la protagonista toglie all’uomo la sua parte di vittoria, il privilegio di dominio sulla donna. Senza senso di colpa né di vergogna, ‘che – dice – non basta a impedirti di fare qualsiasi cosa’.
Elle ridistribuisce i ruoli e riequilibra i poteri ?
Il film descrive l’incontro improbabile e ben combinato di due ‘mostri’, uno maschile, l’altro femminile, sessualmente compatibili. Elle rovescia l’accaduto a suo vantaggio: non indietreggia ma, con apparente cinismo, ha la forza di volontà di andare fino in fondo. Passa dallo stato d’oggetto a soggetto. Riacquista una sua umanità, rimettendo su un piano di parità uomo e donna. E ci mostra che non esiste una sola forma di sessualità: femminile o maschile. Non è il sesso a determinarla.
Sempre più, da «La pianiste» in poi, si fa attrarre e, quasi, si ‘specializza’ in ruoli estremi. Come mai?
È vero, nelle ultime stagioni ho interpretato diversi film-monstre: ma mai ho avuto l’impressione d’interpretare un mostro. Oggi il confine tra bene e male s’è fatto sempre più torbido, impreciso. Sono le situazioni che sempre più diventano mostruose e trasformano in ‘mostri’ persone normalissime, come nel caso di Une affaire de femmes di Claude Chabrol, dove interpretavo un’ostetrica clandestina in un’epoca – neanche tanto tempo fa – in cui l’aborto veniva punito con la ghigliottina.
Si porta a casa i personaggi  che interpreta?
Sì e no. La mia dedizione al cinema nasce dall’ostinazione, dalla volontà, non dal delirio d’identificazione. Inizio ogni film ignara del mio personaggio, faccio in modo di conoscerlo un po’ per volta, in modo naturale, progressivo: anziché costruirlo, preferisco avvicinarmi e incontrarlo mentre giro il film. Adoro quel momento in cui nulla esiste e il personaggio entra silenzioso come un gatto nella stanza. Preparare una parte è come sognare: le visioni si eclissano ma restano presenti. E, al primo ciak, il personaggio è già lì. Di Elle avevo letto la sceneggiatura e il romanzo, Oh… di Philippe Djian, da cui è tratta. Verhoeven non mi ha detto una parola sul personaggio, che ho pian piano ‘scoperto’ durante le riprese, entrando via via in ogni suo stato d’animo. Tanto che l’interpretazione è diventata un documentario su di me, come ha dichiarato il regista, che, scherzando, mi ha ribattezzata «IsabELLE». Metà io, metà ‘lei’. Un’interprete che voglia rimanere persona equilibrata deve costringersi a un distacco dalle emozioni che è chiamata di continuo a incarnare. Vedo nella recitazione un esercizio zen piuttosto che una possibilità di martirio. Sarà anche per questo che, per prendermi in giro, mi danno qualche volta dell’attrice giapponese.
Verhoeven le riconosce il merito di aver dato molto di sé al personaggio.
Spero bene che gli attori esercitino una qualche influenza sul film . E con certi grandi registi, con cui ho avuto il privilegio di lavorare, l’interazione, sottintesa, è indispensabile. Talora si stabilisce per puro feeling, come con Claude Chabrol, cui devo alcuni dei miei più bei ricordi di cinema, da Madame Bovary a Rien ne va plus, a La cerimonia… Un regista fantastico: mi manca tanto. Ah, il suo humour! Nel suo cinema non c’era mai nulla di sbagliato. Era divertente girare i suoi film. E mi piaceva molto lasciarmi andare, folleggiare con lui.
Fortunatamente non le mancano altri registi-amici. Agenda fitta di film, anche quest’anno, vero? 
Sì, ho ritrovato Benoît Jacquot, con cui ho appena girato Eva, che ripropone la storia d’una femme fatale 55 anni dopo il film di Losey. E presto sarò sul nuovo set di Michael Haneke e forse di Verhoeven. Dopo La pianiste e Amour, Haneke mi vuole in Happy End, molto diverso dai precedenti: film corale, che esplora nell’intimo una famiglia, di cui faccio parte, con Mathieu Kassovitz: Jean-Louis Trintignant è mio padre. Poi con Verhoeven, molto ricaricato dal successo planetario di Elle, dovrei affrontare un film sempre rinviato, frutto di quasi vent’anni di ricerche: Jésus de Nazareth. Il regista ha intanto scritto un libro, uscito due anni fa anche in traduzione francese, che ho letto: una visione coraggiosa della vita di Cristo, anche temeraria, sicuramente blasfema per i cristiani più ortodossi.