C’è aria di carità pelosa e di qualche altro futuro fallimento geopolitico nel G-20 convocato ieri a Roma. Oltre che un sentore consistente di diplomazie doppie o triple più che di multilateralismo di facciata, anche se Biden parla ipocritamente di “impegno collettivo”.

Carità pelosa perché il miliardo dell’Unione europea per l’Afghanistan è destinato più che altro a tenere lontani gli afghani dall’Europa: oggi intanto nella Ue ci sono già 220mila afghani irregolari e nessuno si cura di loro. Non solo. Erdogan ha dichiarato che non può accogliere altri profughi affermando implicitamente che per farlo deve passare ancora alla cassa di Bruxelles.

Insomma il solito gioco al ricatto, avendo sempre presente che nel caso della Siria la Turchia occupa parte del territorio a spese di curdi e che in quello dell’Afghanistan Ankara ha una presenza militare nell’aereoporto di Kabul ed è l’unico Paese Nato ad avere ancora aperta l’ambasciata.

Ma sulla pelle degli afghani si gioca una partita più ampia, di cui gli aiuti sono una parte importante. Ai talebani l’Occidente rimprovera di non avere tenuto fede alle per altro vaghe promesse di rispettare i diritti umani e delle donne. In realtà la prima preoccupazione degli occidentali – ma anche della Cina, della Russia e delle potenze regionali come Pakistan e Iran – non sono i diritti umani ma la sicurezza.

E al riguardo qualche timore serpeggia tra le potenze internazionali, vista l’ondata recente di sanguinosi attentati attribuiti ai maggiori oppositori dei talebani, ovvero i jihadisti dell’Isis-K (Khorassan) che recluta tra disertori talebani, gli esuli di Al Qaeda, i militanti della rete Haqqani (in ambigui rapporti con l’Isis), i jihadisti uzbeki, tagiki, uiguri e turkmeni presenti in Afghanistan e in Asia Centrale, che non seguono più i talebani e cercano di unirsi all’Isis-K. Avanza nelle cancellerie il sospetto che se i talebani saranno in difficoltà, e magari divisi tra loro, potrebbe anche partire una nuova guerra al terrorismo, anche se ci sono molti dubbi se combattere dei terroristi con ex terroristi e personaggi ancora nelle “black list” americane o russe.

Con il G-20 virtuale sull’Afghanistan Draghi ha centrato l’obiettivo di allargare il G-20 dai temi economici ai quelli geopolitici e strategici ma questo è avvenuto senza la presenza Putin e Xi Jinping perché la Russia ha già fatto la sua contromossa: convocare un vertice a Mosca il 20 ottobre con la partecipazione dei talebani allargato a Iran e Pakistan.

L’assenza di Putin e Xi Jinping già da sola indica la scarsa attenzione all’iniziativa italiana del G20 che Mosca e Pechino vorrebbero confinare alle sole questioni economiche. Russia e Cina intendono condurre una diplomazia parallela a quella americana sull’Afghanistan, un dossier che – inutile negarlo – appare minore rispetto alla questione geopolitica essenziale in questa fase, ovvero la contrapposizione tra Pechino e Washington nel Pacifico aumentata ancora di più con le tensioni su Taiwan.

L’invito al summit russo, che si terrà una settimana dopo il G20 a Roma, è esteso oltre che a Cina, Pakistan, Iran e India, a una delegazione dell’Emirato di Kabul. Così il Cremlino esalta l’efficacia del “Moscow format”, un meccanismo di consultazione esteso ai tutti i protagonisti regionali.

La decisione del Cremlino di invitare a Mosca i rappresentanti dei talebani lancia un messaggio forte all’Occidente. Avviene nel contesto della competizione tra i due modelli, quello delle cosiddette democrazie liberali – che pone l’enfasi sui diritti umani e ritiene impossibile in questo momento normalizzare i rapporti con i talebani – e quello tipicamente più “pragmatico” dei Paesi più autocratici.

Al momento nessuno dei Paesi occidentali ha un’ambasciata aperta a Kabul. Il loro approccio verso la crisi afghana si sviluppa attraverso aiuti etichettati come umanitari per non favorire direttamente un regime che vìola platealmente una serie di diritti umani, in particolar modo quelli delle donne. Sono perfettamente consci del fatto che l’economia afghana è destinata a sprofondare senza aiuti esterni ma devono rispondere alla loro opinione pubblica riguardo ai finanziamenti.
Al contrario Cina, Pakistan e Russia hanno tenuto le ambasciate aperte. A grandi linee condividono le stesse preoccupazioni degli occidentali, ossia il collasso dell’Afghanistan e le ripercussioni sulla sicurezza.

Anche loro hanno in mente di aiutare i civili, mantenere la stabilità ed evitare le recrudescenze del terrorismo, sia interno che internazionale. Ma i loro leader non devono rendere conto all’opinione pubblica e hanno maggiori margini di manovra nelle trattative con i talebani, aggirando il dossier sui diritti umani. Del resto Pechino e Mosca sono sempre le prime a spingere sulla narrativa del “si tratta di questioni interne che non devono interessare ai Paesi stranieri”, come nel caso di Hong Kong. L’obiettivo della Russia è far capire che il suo modello autocratico è più efficace di quello occidentale, per altro miseramente fallito dopo 20 anni di guerra e occupazione dell’Afghanistan.