Come per i giardini, anche per i cimiteri potrebbe immaginarsi, una saggistica che ne esplori assieme alle forme, il genere d’impressioni ch’essi intendono suscitare. Si distinguerebbero allora cripte come quelle dei Cappuccini a Roma o a Palermo, con le loro vanitas d’ossami e di morti rinsecchiti che mandarono in sollucchero viaggiatori come il De Sade, dai cimiteri monumentali, le cui tombe non furono edificate per esprimere la sudditanza dell’uomo alla morte ma la sua vittoria sul tempo. È ragionevole dunque credere che delle varie specie di camposanti alcuni invitino alla contrizione, altri ancora infondano pace, e che altri, come il Père-Lachaise di Parigi, forse per il loro incrocio di viali tortuosi alla maniera dei giardini all’inglese, paiano fatti per stimolare la fantasticheria. Non così, per esempio, il cimitero di Montparnasse, nel quale l’organizzazione troppo limpida dei sentieri, la troppo amena varietà d’alberi non riescono a fugare la sensazione di trovarsi in un parco dove per incidente possa incapparsi in qualche tomba!
Codesta impressione un po’ romantica del Père Lachèse la trovo confermata dal volume L’Italia del Père-Lachaise Vite straordinarie degli italiani di Francia e dei francesi d’Italia (Skira, testo bilingue, pp. 278, euro 60,00), nel cui breve scritto introduttivo J-P. Le Dantec nota il fascino delicato che si promana dal divagare tra le «stèles délabrées ou couvertes de mousse voisinent avec des monuments funéraires prétentieux, en empruntant des allées parfois nobles, parfois fort étroites». Concepito con il lodevole scopo di celebrare il legame che unisce da secoli le due nazioni, L’Italia del Père-Lachaise è soprattutto un godibile viatico per questo genere di passeggiate fra le ombre. Il piacere che se ne può trarre, sfogliando la sua raccolta di biografie, è soprattutto associativo: accostati la Alboni, Bellini, la Grisi, la Patti lasciano emergere una rete di relazioni, una civiltà, dimodoché il cimitero di luogo fisico si fa cartografia astratta, per così dire, d’un mondo. Di un libro come questo finiscono perciò per apprezzarsi soprattutto le ricostruzioni biografiche di personaggi minori che contribuirono a stringere i nodi fra i vari protagonisti della vita artistica: Ferdinando Paër, direttore del Théâtre Italien, che insegnò composizione a Liszt e a Gounod; Antonio Pacini, amico di Rossini, editore delle musiche di Donizetti e di Mayerbeer; o ancora la contessa Emmanuela Pignatelli-Potocka nel cui salotto si ritrovavano Maupassant, Bourget e Jacques-Émile Blanche.
Al promeneur divagante la prossimità delle tombe può stimolare reminiscenze e aneddoti curiosi: a non molta distanza da Cherubini, per esempio, giace la Callas che ne fece risorgere l’opera in quella memorabile recita della Medea alla Scala nel ’53 con Bernstein sul podio; e che dire della prossimità di Rossini (cenotafio) e del tenore Tamberlik, gran cavaliere del do di petto? Sembra che il musicista la prima volta ch’ebbe occasione d’ascoltare questa nota, che il Tamberlick contribuì a imporre in Italia, dicesse a un suo amico: «La cosa che più mi piace del do di petto? Che sia passato e che non dovrò udirlo una seconda volta!».
Stampato in-sedicesimo e con qualche erudizione di più, L’Italia del Père-Lachaise sarebbe riuscito forse un libro più delizioso, finendo col somigliare a certi adorabili compendi di curiosità come se ne pubblicavano nell’Ottocento! Invece i curatori hanno scelto di dare all’opera una veste più cerimoniosa, insistendo sull’importanza e sull’esemplarità di molti fra i personaggi sepolti.
Le «urne de’ forti», diceva Foscolo, «a egregie cose il forte animo accendono». Di questo genere di tombe se ne trovano molte al Père-Lachaise: quella di Gobetti, dei Fratelli Rosselli, ad esempio, e d’altri martiri dell’antifascismo che dimostrano la simpatia che la Francia ha sempre manifestato per gli ideali di libertà; ma, senza voler sembrare frivoli, a lasciar per un attimo da parte le sepolture di questi grandi, si vede come il cimitero sia gremito di musici, d’acrobati, d’artisti di circo, di cantanti e di danzatori, di tutto un popolo d’artisti ch’evoca in un colpo l’amabile universo della Commedia dell’Arte; e allora non ci si stupisce più tanto che al Père-Lachaise scarseggino i cipressi, perché quest’isola dei morti non evoca più le tetre fantasie di Böcklin ma l’incantevole malinconia di Watteau.