Niente di meglio che il calore di una notte estiva per inaugurare una stagione d’opera in gennaio, anche se si tratta del temperato inverno palermitano. La notte è quella di San Giovanni, il solstizio d’estate, occasione di festa, fuochi e baci rubati. Il libretto di Feuersnot (letteralmente ‘assenza di fuoco), seconda opera di Richard Strauss, creata all’Opera di Dresda nel 1901, si basa infatti su un antico racconto fiammingo che Ernst von Wolzogen trasporta nella Monaco medievale, con una ricca e fantasiosa lingua poetica ( restituita nella magnifica traduzione di Franco Serpa).

Kunrad, brillante ragazzo con singolari interessi per la magia, nella sera del solstizio trova il coraggio di rubare in pubblico un bacio appassionato alla bella Diemut, di cui è innamorato. Per fargli scontare l’umiliazione, la sagace Diemut attira il giovane sotto le sue finestre, lo invita a salire, per lasciarlo poi appeso a mezz’aria, come zimbello per tutti i passanti. Ecco finalmente i poteri magici di Kunrad entrare in azione, e spegnere per incanto tutti i fuochi della città. Solo il fuoco sprigionato da una nuova coppia di amanti potrà restituire alla città il calore della fiamma. E così accade, con Diemut che alla fine cede alle profferte di Kunrad. A differenza della prima opera, Guntram, dalle marcate a scendenze wagneriane ( ascoltata peraltro anni fa al Teatro Massimo Bellini di Catania), Strauss scrive un atto unico dall’inusuale carattere corale e dall’equilibrata e effervescente orchestrazione, perfetta nel descrivere immagini notturne, vivaci baruffe paesane, arcani magici e l’incanto d’amore, con più di un richiamo al futuro della Donna senz’ombra , di Capriccio e del Cavaliere della Rosa, ma anche richiami ai Maestri Cantori wagneriani e al Falstaff di Verdi. Curiosamente, la fortuna dell’opera patì per l’enorme successo arriso a Salome (1905) e alle successivi lavori di Strauss e ancora oggi è raro ascoltarla anche in terra tedesca.

Ben ha fatto il Teatro Massimo a allestirla, per la prima volta dal secondo dopoguerra, affidando la regia a Emma Dante, che ha creato il migliore dei suoi spettacoli d’opera fino a oggi. Una notte fiabesca, un fondale cittadino fra Baviera e un meridione di fiaba (belle le scene di Carmine Maringola), con decine di sedie sospese nell’aria e una folla di attori, giocolieri, pagliacci e danzatrici, che incarnano quell’estasi sensuale che promana dalla musica e che in Austria attirò all’epoca gli strali della censura. Un allegro turbinio in cui si confondono i tanti personaggi dell’opera, e anche i due protagonisti, Nicola Beller Carbone, piccante e risoluta Diemut e il bravissimo Kunrad di Dietrisch Henschel, tenero e stralunato come un giovane Danny Kaye.

A lui Strauss dedica le pagine più belle e più impervie, come l’ampio monologo dell’incantesimo, e il duetto d’amore, fra i momenti più pregevoli di un’opera che però è ricca di preziosità musicali (ma non mancano richiami a triviali canzoni popolari ) dall’inizio alla fine. Ottima la resa dell’ampia compagnia di canto in cui spiccavano le amiche di Diemut (Christine Knorren, Chiara Fracasso Anna Maria Sarra) il castaldo Alex Wawiloff , il fabbro di Paolo Battaglia e l’oste di Michail Ryssov.

La lettura di Gabriele Ferro nel complesso è fluida, ariosa e gradevolmente narrativa; accanto all’orchestra e al coro (guidato da Piero Monti) in buona forma si fanno valere le voci bianche del Teatro Massimo, preparate Salvatore Punturo. Alla fine il fuoco si accende sul palcoscenico nel tripudio di tanti nastri rossi e arancio agitati da mimi e attori, cui ha fatto eco l’applauso convinto e festoso del pubblico palermitano.