Poco tempo fa si è aperta l’ennesima spaccatura nel governo tra i 5stelle che speravano di alleviare l’insostenibile debito del comune di Roma (oltre 12 miliardi) e la Lega che ha finto di opporsi per poter contrattare aiuti anche per le altre città amministrate dal centro destra. Al di là del merito della questione, sono state le argomentazioni espresse dalla Lega a colpire. Hanno fatto ricorso all’antico armamentario di una cultura dura a morire: quella che considera Roma come un peso morto. Una città parassitaria eterna preda del malgoverno. Non mancano certo gravi recenti esempi di collusioni perfino con il sistema mafioso e conclamate incapacità a governare la città come accade alla giunta pentastellata del sindaco Raggi, ma esiste un problema molto più complesso che attiene alla mancata costruzione del ruolo della capitale d’Italia.

Se dunque non vogliamo fermarci ad una banale polemica strumentale dobbiamo chiederci quali siano le radici delle difficoltà di Roma. Da pochi mesi è in libreria l’ultima fatica di Vittorio Emiliani che già dal titolo rende evidente il ragionamento dell’autore: Roma, capitale malamata (Mulino, euro 16). Per l’autore, dunque, il nodo sta nella storia del distacco da parte delle classi dirigenti del nord produttivo che hanno considerato la città come una corpo estraneo al panorama nazionale. L’autore afferma lucidamente che questo atteggiamento è il vero responsabile dei mali di Roma.

La città capitale mondiale della religione cattolica, afferma Emiliani, viveva di arretratezza, ma aveva un suo equilibrio che le permetteva di rinnovarsi quel poco che bastava per poter sopravvivere: il suo ruolo era eterno e fuori discussione. Quando i piemontesi entrano nella città eterna, sembra prevalere una cultura nuova ma il vento del nord ha però il respiro corto. La costruzione della capitale sull’asse di via Venti Settembre – via Nomentana con la edificazione dei primi ministeri sembrava avere il respiro giusto per avviare il volto di una capitale moderna. Vengono varate le prime leggi su Roma capitale che forniscono risorse economiche e poteri, ma è la frenesia immobiliare a dominare la città ed è l’economia fondata sulla rendita parassitaria immobiliare a riprendere in pochi anni il sopravvento.

Un capitolo del volume è dedicato al passaggio che si consuma a cavallo del nuovo secolo. Il grande scandalo della Banca Romana provoca reazioni istituzionali, politiche e sociali importanti. L’opera di costruzione di nuove prospettive sfocia nel 1907 nella breve ma straordinaria parentesi del blocco popolare guidato da Ernesto Nathan. Emiliani, mette bene in luce le trasformazioni urbane di quel periodo. Si pubblicizzano i servizi e si costruisce la prima rete per l’istruzione popolare. Nel 1909 la capitale avrà il migliore piano urbanistico della sua storia: Roma sembra entrare di nuovo nella modernità.

Il fascismo si assumerà il compito della restaurazione dei vecchi poteri e la speculazione fondiaria riprenderà di nuovo le redini della città. Insieme agli sventramenti del centro antico e alla costruzione delle borgate ufficiali, nasce l’abusivismo: Roma diventa un’immensa periferia. E qui Emiliani coglie un dato fondamentale. Il ceto intellettuale nazionale invece di leggere lucidamente le cause profonde delle difficoltà della capitale moderna, concentra le sue critiche su un piano astratto, come se i mali della città non fossero il frutto di scelte sbagliate ma un male endemico. Una capitale non compresa, malamata, appunto. Un comodo schermo per non aiutare la sua evoluzione e lasciarla in una prospettiva istituzionalmente incerta.

Il denso volume si concentra così su un altro decisivo passaggio. L’autore, delinea il tentativo di cambiamento delle giunte di centro sinistra che dal 1975 guideranno per un decennio la città. Argan, Petroselli e Vetere porranno in essere il grande recupero delle periferie urbane. Uno sforzo sostenuto da finanziamenti consistenti e completato successivamente dalla legge per Roma capitale voluta dalle sinistre nel Parlamento e da intellettuali come Antonio Cederna. E anche in questo caso l’involuzione nascerà sulle ceneri della generosa esperienza: la “restaurazione” avrà il nome di tangentopoli e della successiva deregulation urbanistica.

Ed è proprio questa riflessione che porta l’autore alla proposta istituzionale in grado di sollevare Roma dalla sua crisi apparentemente irreversibile. Il degrado, ci dice Emiliani, si vince fornendo a Roma il ruolo istituzionale che tutte le altre capitali europee hanno avuto. Si vince se uno Stato lungimirante avrà la forza per contribuire con idee e risorse economiche alla costruzione della sua capitale. Il destino di una nazione è legato a quello della sua capitale e una città in eterno degrado trascina con se l’intero paese.

* L’urbanista autore della recensione, con l’autore del libro e altri – Alberto Benzoni, Manlio Lilli, Walter Tocci, Carmela Lalli, Giovanni Caudo, Andrea Costa – discuteranno di «Ripartiamo da Roma. Mali, beni e potenzialità della Capitale» domani alle 10 a Roma, all’Università Valdese, Via Pietro Cossa, 42