«Una moneta unica, ma stop all’austerità»
Intervista Il futuro dell'euro, parla Elmar Altvater, professore emerito di scienze politiche all’Otto-Suhr-Institut della berlinese Freie Universität, membro del comitato scientifico di Attac Germania
Intervista Il futuro dell'euro, parla Elmar Altvater, professore emerito di scienze politiche all’Otto-Suhr-Institut della berlinese Freie Universität, membro del comitato scientifico di Attac Germania
«Queste elezioni sono decisive per l’intera Europa, purtroppo però non possono votare tutti gli europei, ma solo i tedeschi». Elmar Altvater, 75 anni, professore emerito di scienze politiche all’Otto-Suhr-Institut della berlinese Freie Universität, non ha dubbi che le elezioni odierne siano cruciali anche per i cittadini dei Krisenländer, i «Paesi in crisi». Membro del comitato scientifico di Attac Germania, negli ultimi mesi è stato uno dei protagonisti del dibattito sul futuro dell’euro e dell’Unione Europea nel quale sono intervenuti molti intellettuali della sinistra tedesca.
Professor Altvater, lei ha criticato le posizioni di quanti, come Heiner Flassbeck, ipotizzano un’eventuale uscita dei paesi sud-europei dall’euro. Perché? Non è un’alternativa possibile alle politiche di austerity degli ultimi tre anni?
Credo che la crisi della moneta unica non possa risolversi con l’uscita di paesi come la Grecia o l’Italia. Probabilmente la zona euro sarebbe più unita solo se uscisse la Germania. Ma, in questo caso, le conseguenze sarebbero catastrofiche per noi. Non sono affatto d’accordo con chi valuta positivamente l’uscita dei paesi del sud Europa: credo che non vengano sufficientemente considerati i costi politici e sociali di una prospettiva del genere. Certo è chiaro che la situazione non può andare avanti così: i paesi sono sfiniti dalle politiche di austerity, i loro effetti sono talmente nefasti che finiranno per distruggere l’Ue. L’austerità, è bene ricordarlo, ha origine proprio in Italia all’inizio degli anni 70. Il vostro paese è stato uno dei primi costretti dal Fondo monetario internazionale ad applicare politiche durissime in seguito alla crisi petrolifera. Quelle stesse politiche vennero applicate negli anni 80 nei paesi in via di sviluppo e oggi sono l’attualità in Europa.
Le politiche di austerity mettono dunque in serio pericolo non solamente le democrazie dei paesi Sud-europei, ma gettano le basi per un collasso politico-sociale dell’intera eurozona. Il dibattito sulle alternative appare schiacciato su posizioni interventiste di mero stimolo alla domanda, lei che prospettive vede?
Chi crede che una soluzione possibile siano politiche di moderazione salariale con il fine di aumentare la competitività si sbaglia completamente. Quest’ultima non dipende principalmente dal salario, i fattori decisivi sono altri: produttività, tecnologia e infrastrutture. Per questa ragione è completamente insensato ritenere che si possano «salvare» Grecia e Portogallo abbassando i salari. Credo che il problema fondamentale sia la forte diseguaglianza in un territorio come l’Europa che ambisce a diventare sempre più comune, non solo dal punto di vista monetario ma anche politico. Negli ultimi 20-30 anni c’è stata una fortissima redistribuzione della ricchezza dal basso verso l’alto, ovunque: i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Avremo una soluzione solo quando la direzione di questo processo si invertirà. Redistribuendo si creerebbe domanda interna, necessaria a far ripartire le nostre economie e si toglierebbero capitali agli speculatori finanziari. Abbiamo bisogno di aumentare le tasse per le persone più ricche: negli ultimi 15-20 anni le aliquote fiscali sono diminuite notevolmente, sia sui patrimoni sia per le imprese, e in alcuni paesi c’è addirittura la cosiddetta flat-tax (un’aliquota fissa). Cambiare questa situazione diventerà ben presto una necessità imprescindibile a partire da ragioni sociali, economiche, politiche e culturali. Questo è il bivio che abbiamo di fronte per lo sviluppo dell’Europa.
I partiti progressisti tedeschi molto difficilmente riusciranno a governare insieme nei prossimi quattro anni. Pensa che siano riusciti a elaborare programmi elettorali realmente alternativi rispetto alla linea dell’esecutivo di Angela Merkel?
Non voglio essere disfattista, ma non ci si può affidare molto ai programmi elettorali. Detto ciò, vale la pena provare a confrontarli. Sul tema Europa ci sono visioni diverse: la Linke è l’unica esplicitamente contro le politiche di austerity della Troika e favorevole a un’europeizzazione dei debiti sovrani. Personalmente sono d’accordo: è insostenibile un’unione monetaria che mantenga un sistema di indebitamento pubblico a livello nazionale. Mi sembra comunque che l’ostacolo maggiore a una coerente coalizione rosso-rosso-verde sia il fatto che la Spd e i Grünen abbiano sempre pensato di potercela fare da soli, mentre adesso è chiaro che non possono. Ma hanno sostenuto questa posizione talmente a lungo che adesso non hanno più altre opzioni: se anche una maggioranza di sinistra fosse numericamente possibile, politicamente sarebbe di difficilissima realizzazione.
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