L’ultima sera dell’anno è tempo di bilanci e di sogni, poche ore vissute ad alta intensità emotiva che separano passato e futuro, è il tempo sospeso delle promesse di cambiamento nel quale si vorrebbe trasformare in parte o completamente la propria vita, darle una traiettoria più stabile e soddisfacente. Forse è anche il periodo dell’anno con una esistenzialità più forte, dove si vanno a scomodare i ricordi, a interrogare i destini, i propri fallimenti.

IN QUESTO SPAZIO esistenziale e drammaturgico Simone Innocenti mette in scena il suo teatro da camera, il suo romanzo borghese di interni e di interiorità, infatti L’anno capovolto (Atlantide, pp.181, euro 16,50) si svolge in una villa toscana che un po’ ricorda La notte di Antonioni, e un po’ il Dinner Party di Pier Vittorio Tondelli, una commedia di conversazione, e i romanzi di Romolo Bugaro, proprio nelle ore che precedono l’arrivo del nuovo anno.

Anche in questo libro i parlatori diffusi sono protagonisti, gli incontri ravvicinati, le confessioni, le accuse e le invidie reciproche, i rimpianti, le ipocrisie e i tradimenti. Gli incontri si fanno parlando in piedi in cucina, sorseggiando del vino in soggiorno, conversando in salone, là dove le voci trovano il loro fuoco.

È festa, ma nelle stanze della sfarzosa abitazione affacciata sul mare dove vivono Giulio e la moglie Francesca «il nervoso è nell’aria», e ognuno dei venti personaggi trenta-quarantenni colti nell’età adulta e nell’agone sociale di quella che è una narrazione corale, persone che si conoscono dagli anni giovani dell’adolescenza, da quando erano al mare della Versilia «e non pensavano altro che al mare», mettono in moto un intreccio di diversi punti di vista e destini che sedimentano dentro una tramatura complessa, quasi un romanzo fatto di racconti conchiusi, dove ogni capitolo raggiunge una sua autosufficienza formale e un compiuto svolgimento.

QUESTO SERVE all’autore non solo a concentrare in ogni capitolo una trama, una storia, il rebus di una vita, in un libro dove i personaggi hanno tutti pari dignità, ma a dare a ognuno di loro un effetto di spaesamento e solitudine sociale. Gli invitati, una volta arrivati, devono solo rispettare «l’unica regola: i telefonini si mettono dentro un paniere di vimini e guai a chi li tocca».

In questo teatrino borghese fatto di apparenze, dove le parole pubbliche sono strumenti ambigui e perversi di travestimento, arriva per ognuno di questi personaggi un momento di verità che li denuda, privandoli di ogni finzione, per vivere il loro svelamento, mentre una clessidra si sposta di stanza in stanza e segna l’inesorabile passaggio del tempo, uno dei temi del libro. Il tempo del disincanto, quello dei rimpianti, soprattutto quello che li separa da chi avrebbero voluto essere davvero per condurre una esistenza diversa da quella che sono costretti a vivere.

L’ALLEGRIA E LA LEGGEREZZA degli anni giovani sono passati, adesso bisogna fare i conti con il lavoro, i figli, le relazioni per questa gente che appartiene a una generazione senza sogni e senza più ideali, gli unici pensieri che li possiede come un demone sono il successo, i soldi, ma soprattutto sfuggire al fallimento, economico, emotivo, in una feroce resa dei conti con la propria vicenda personale.

Innocenti segue queste esistenze da vicino, con spietatezza e pietà, le racconta con una lingua ritmica e incisiva, densa, corporale, sempre centrata sui fatti e i movimenti esterni e interiori dei personaggi, dentro la meccanica sociale e le cattiverie darwiniane della società affluente, consumistica, atomizzata.

Segue Marta, assicuratrice, ludópata solitaria, Stefano, gioielliere cocainomane che usa la bianca come «telecomando», la fotomodella Caterina, Paolo, ossessionato dalle sciagurate coincidenze astrali e dai fallimenti matrimoniali, Alessandro che vive sulla barca Mojta, il poliziotto Michele perennemente in servizio, il burbero Nello, oppure Edoardo, tra gli altri, disegnatore di yacht e autore del reportage fotografico della serata che scatta con la Leica.

LI SEGUE mentre umani e troppo umani si tradiscono, odiano, fanno l’amore, anche quando un finale tragico, più volte annunciato, mette la parola fine a una nottata segnata da droghe e alcol, capovolge tutto. Il risultato è un romanzo polifonico di grande forza emotiva e tenuta stilistica, ma soprattutto un campionario della vita sociale della piccola borghesia italiana e la sua maleducazione sentimentale, un’istantanea cruda della sua normale mostruosità.