Il cinema di domani non è solo quello di chi muove oggi i primi passi ma è anche quello che oggi si consegna all’avvenire decidendo di restaurarlo. Fin dal 1991, per iniziativa di Marco Müller e di Freddy Buache, storico direttore della Cinémathèque suisse scomparso nel mese di maggio, quest’ultima presenta al Festival di Locarno film elvetici dimenticati o poco noti.

Quest’anno si sono visti in anteprima mondiale tre restauri: Charles mort ou vif (1969), primo lungo di finzione di Alain Tanner; Le Grand Soir (1976) di Francis Reusser – entrambi, al tempo, vincitori del Pardo d’Oro – e Grauzone (1979) di Fredi M. Murer con cui il regista contaminò per la prima volta documentario etnografico e cinema di finzione.

MURER quest’anno riceve il Pardo alla carriera e il festival lo omaggia programmando la sua«trilogia della montagna», con il documentario d’esordio Wir Bergler in den Bergen sind eigentlich nicht schuld, dass wir da sind (1974) che indaga la realtà dei contadini alpigiani senza alcuna concessione al romanticismo, Falò. Fuoco alpino (1985) in cui l’Heimatfilm incontra la tragedia greca e Der grüne Berg (1990) sul controverso progetto di deposito di scorie radioattive nella zona montana del Wallenberg.

In questo documentario, realizzato non sulla comunità ma con essa, hanno parola tutte le parti in causa con i loro diversi modi di ragionare, di esprimersi. Murer filma con tenerezza i bambini della zona, i loro volti, la loro partecipazione attiva alla vita delle fattorie. Siamo nel 1989 in una valle svizzera ma non si fatica a trovare attuale il senso di rivolta di una comunità che assiste al vacillare della democrazia e teme per la propria sopravvivenza di fronte al rischio di distruzione di un territorio sono ignorati dalle istituzioni.

L’IDEA di Svizzera che filtra dal patrimonio cinematografico di questo paese spesso valica i confini dello stereotipo, offre nuove rappresentazioni del paesaggio, getta ombre sulle vite che racconta e in questo modo illumina i punti ciechi della storia nazionale. In Grauzone, per esempio, Murer racconta le vicende di una coppia alle prese con un’epidemia che il governo vuole occultare mentre in Charles mort ou vif Tanner restituisce la parabola di speranza e delusione del Sessantotto attraverso la vicenda di un imprenditore orologiaio di mezza età che lascia la famiglia e va a vivere in campagna con una giovane coppia bohémien: nessuna retorica del «ritorno alla terra» ma il dramma di una fuga impossibile, pur tratteggiato con umorismo libertario. Il restauro del film di Tanner è stato realizzato con la collaborazione di Renato Berta, che ne aveva curato la splendida fotografia in bianco e nero, nell’ambito di un progetto dell’Association Alain Tanner. Nata per digitalizzare e diffondere l’opera del regista, l’associazione è al momento impegnata nel restauro di Dans la ville blanche (1983).

DELLA COLLABORAZIONE di Berta si è avvalso anche il restauro di Le Grand Soir con cui Francis Reusser riflette sui sogni rivoluzionari e sulla perdita dell’innocenza della sua generazione. Le opere di Reusser sono oggetto di un lavoro di valorizzazione che lo scorso anno ha permesso di rendere nuovamente visibile un film emblematico di una stagione politica e creativa come Vive la mort (1969) nonché Seuls (1981), che trova nel colore blu l’espressione di una tonalità tanto visiva quanto emotiva, con Niels Arestrup nel ruolo di un uomo che la maturità non riesce a guarire dalla mancanza della madre e dalla nostalgia dell’infanzia.

Per conservare al meglio i propri fondi, la Cinémathèque ha aperto un’estensione del suo centro di ricerca e archivio a Penthaz, a 15 chilometri da Losanna, che inaugurerà con due giornate a porte aperte il 7 e 8 settembre. Dalle 10 alle 17 il pubblico potrà visitare la zona museale, la sala di proiezione e gli spazi dedicati allo studio e all’archiviazione (Info: www.cinematheque.ch).