Il tempo stringe eccome. Entro la prima decade di aprile vanno presentati i simboli per le prossime europee, e le liste dei candidati con le firme sottoscritte una settimana dopo. Ma non è un’impresa impossibile, se si vuole dare vita a una lista di cittadinanza, ovvero «promossa da movimenti e personalità della società civile, autonoma dagli apparati politici» (peraltro assai fragili, visto che parliamo di quelli della sinistra radicale) come dice l’appello firmato, tra gli altri, da Barbara Spinelli. Le speranze che le regole su quorum e firme cambino, grazie al ricorso presentato dagli stessi avvocati che hanno seppellito il vecchio Porcellum, sono esigue, visti gli intenti della inedita quanto antica coppia Renzi-Berlusconi, esplicitati nella mostruosa riforma elettorale nazionale.

Ciò che può sembrare un ostacolo, la raccolta di firme autenticate, può invece essere l’occasione affinché questa lista prenda effettivamente corpo grazie alla passione e all’attivismo di chi interpreta uno spirito democratico e di sinistra largamente diffuso nel nostro paese, ma male o per nulla rappresentato, e che comunque travalica largamente i confini della sinistra alternativa.

Non si tratta di contrapporre una inesistente purezza della società civile (termine sul cui reale significato il dibattito è aperto almeno dai tempi di Gramsci) al torbido cielo della politica, ma di prendere atto (e l’indagine di Demos di pochi giorni fa aiuta) che la crisi di credibilità della politica e delle attuali rappresentanze è generale e non risparmia nessuno, nemmeno le buone intenzioni. Del resto due fallimenti elettorali (liste Arcobaleno e Ingroia) messi a confronto con il successo – senza precedenti per ampiezza – nei referendum sull’acqua e sul nucleare, devono pure insegnare qualcosa.

Per costruire un nuovo spazio politico europeo non basta la sinistra radicale, che peraltro, particolarmente da noi, sconta un ritardo culturale evidente su questo tema. C’è bisogno di un vasto schieramento senza pregiudiziali ideologiche, ma costruito su un preciso profilo programmatico in favore di un’Europa fondata sul rifiuto delle politiche economiche che fin qui hanno aggravato la sua crisi e quindi sulla revisione radicale dei trattati e della governance, a cominciare dalla cancellazione del fiscal compact e ciò che da esso deriva, come la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio nel caso italiano. Il richiamo a Tsipras ha questo valore e significato.

Certamente un appello è un appello, non può essere un programma articolato, ma può contenere le discriminanti fondamentali su cui costruirlo. In questo caso ci sono e ben evidenti sia sul piano delle politiche economiche che delle scelte di schieramento politico, evidenziate dal rifiuto delle politiche delle larghe intese.

Questo è indubbiamente un punto cruciale e contiene un giudizio negativo sugli orientamenti attuali delle principali socialdemocrazie europee. Solo qualche anno fa, prima della vittoria di Hollande in Francia e del rinnovamento della leadership nella Spd, si poteva nutrire qualche speranzosa attesa. Il quadro attuale è impietoso. In Francia Hollande ha operato, dopo avere trangugiato il fiscal compact fin dall’inizio, una vigorosa virata verso il centro, aprendo alle agevolazioni fiscali alle imprese, puntando su un alleggerimento dei loro oneri e sulla riduzione delle spese pubbliche, in modo non dissimile da quanto avviene in Spagna o nel nostro paese. In Germania la Spd di Gabriel ha sì contrattato con la Merkel qualcosa sul piano interno, ma al prezzo di lasciare mano libera alla cancelliera per la politica europea, che precisamente rischia di fare implodere l’intera Unione. Ciò che visto da Kiev è un miraggio, per Atene e non solo resta così un incubo. Uno spazio intermedio tra Schultz e Tsipras non esiste: è un’illusione, se non un escamotage. La possibilità di un dialogo successivo è invece ovviamente aperta e sarà tanto più fruttifero quanti più consensi riscuoteranno le liste Tsipras nei vari paesi.

Non si ricostruisce la sinistra a colpi di liste e di scadenze elettorali. Una lista non è il nucleo di un nuovo partito, ma neppure un tram. Hanno fatto bene gli estensori dell’appello a precisare che, pur non essendo la lista che promuovono una filiazione del Partito della sinistra europea, gli eletti siederanno nel Gue, lo stesso gruppo parlamentare di Tsipras, dando così una continuità coerente alla loro azione. Lo stesso valore discriminate del rifiuto del fiscal compact, che la socialdemocrazia europea nelle sue varie declinazioni ha promosso e accettato.