Uno dei nodi cruciali della moda di domani è la formazione dei creativi. In ogni angolo del mondo esistono scuole che preparano, o dovrebbero farlo, gli stilisti di domani con metodi formativi molto legati alla tradizione nozionistica. Tra le scuole di moda, come si chiamano in gergo, il Central Saint Martins College Art and Design è il più conosciuto e prestigioso perché, al contrario, ha un metodo didattico «anti establishment», come lo definisce la stampa inglese.

La scuola, infatti, «incoraggia il libero pensiero, l’originalità, la dissidenza, coloro che pensano al di fuori della norma». Insomma, una capacità di formare e coltivare il talento naturale degli alunni che passa sì attraverso una disciplina ferrea dello studio, ma educa anche alla libertà di pensiero. Qui, però, gli insegnanti hanno una preparazione professionale esclusiva e gli alunni, pur paganti, possono essere allontanati per inefficienza. Tra i suoi studenti celebri ci sono gli autori del livello più alto della creatività contemporanea: John Galliano, Alexander McQueen, Phoebe Philo, Riccardo Tisci, Stella McCartney, Gareth Pugh. Come nelle altre sezioni si trovano attori come Michael Fassbender, Colin Firth e Pierce Brosnan o il regista Mike Leigh e il pittore Lucien Freud.

Frequentare il College costa caro, circa 12 mila euro l’anno (cifra non molto diversa da altre scuole, Italia compresa) e, nonostante la fortissima selezione di ammissione, gli alunni sono attualmente 13mila, divisi nelle sezioni di Art e Design.

Al confronto con il Saint Martins impallidisce perfino la Parsons School di New York, all’ottavo posto tra le scuole più care del mondo con i suoi 58mila dollari all’anno, che pure ha visto tra i suoi banchi Marc Jacobs, Steven Meisel e perfino Adrian, il grande costumista della Hollywood storica.
I dati confermano che studiare la moda è una cosa per ricchi, ma la cosa più grave è che il metodo tradizionale e nozionistico di molte scuole nel mondo (in Europa ma anche in Cina, a Taiwan, Giappone, America latina, Australia…) spinge gli alunni a diventare epigoni di una moda già fatta. E quindi vecchia.

La scorsa settimana si è tenuta a Trieste la quindicesima edizione di International Talent Support, uno dei più prestigiosi contest internazionali del settore che in passato ha premiato il georgiano Demna Gvasalia, ora all’apice del successo con la sua linea Vetements (ma è anche direttore creativo di Balenciaga, e però replica sempre quello che ha imparato quando lavorava da Margiela). Proprio il lavoro di scouting che Barbara Franchin, che ha inventato e organizza l’ITS, conduce in tutte le scuole del mondo fa diventare lampante la differenza tra i metodi didattici.

Infatti, qui il confronto fa vedere che dove il talento incontra un metodo di studi lontano dalle regole canoniche la creatività è più disinibita e rinnovatrice, altrimenti le collezioni sperimentali preparate dai concorrenti replicano modelli del passato storico della moda, anche nelle maniere più incongrue possibili.
Forse, sarebbe il tempo di fare un passo indietro e ammettere che il talento può esserci anche fuori dalle scuole, che non sempre la scuola può coltivare il talento e che il talento non sempre ama essere rinchiuso in una scuola. Ma sarebbe il crollo di un business, ormai diventato globale, che si regge sulle diffuse velleità creative che la moda ancora riesce a solleticare.

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