Il sorriso di don Giovanni (Feltrinelli, pp. 235, euro 18.00) Ermanno Rea ha raccontato la vita di Adele e la storia di una Italia che è rimasta nel limbo del possibile, senza arrivare a quel punto di maturazione che l’avrebbe fatta nascere davvero. Adele, nata nel ’59, rievoca in prima persona la propria giovinezza e la propria crescita. Ambientato tra Napoli e dintorni, il racconto permette al lettore di rivedere i decenni appena trascorsi con tutte le tensioni, le agitazioni e la maturazione della generazione che si affacciava alla giovinezza al principio degli anni settanta, quella stessa generazione che poi ha assistito alla trasformazione del paese Italia in una palude nella cui acqua stagnante sono confluite molte delle forze migliori.

Adele è una ragazza bellissima, vivace e piena d’interessi, ma ciò che la contraddistingue è una passione profondissima per i libri. Con lei Rea ha dato vita a un personaggio nel quale molti lettori si troveranno di fatto identificati. È una razza speciale quella che fa del libro un lago su cui affacciarsi e verso il quale pericolosamente sporgersi. Il libro è scudo, conforto, avventura, specchio e sfida. Chi tiene un libro per mano si trova su una zattera che non affonda, si legge nel corso di questo testo. E solo chi ha fatto del libro la propria religione, ovvero chi vi si è legato in un patto di fedeltà che il più delle volte dura una vita intera, sa che la lealtà del libro è infrangibile e imperitura. Perché durerà per tutto il tempo che la vita impiegherà per essere vissuta e per tutto il tempo che il lettore – novello Pigmalione – continuerà a dargli corpo e sangue.

Ermanno Rea riesce in un compito che immaginiamo difficile: costruire un romanzo intorno a questo tema senza cadere nella tentazione di edificare un altare a questa divinità paganissima. La lettura, la passione divorante per i libri, non è deificata e non si sovrappone al carattere della ragazza ma lo accompagna e lo alimenta. Adele letteralmente si nutre di libri, di storie, di poesia, ma resta un’entità pienamente autonoma, e non cade mai nel ruolo di avatar di uno dei tanti autori di cui si è fatta sostanza. Non c’è in altri termini un’ontologia del testo, semmai un’ontologia dell’individuo che grazie ai libri opera una serie di scelte, discute, si avvicina o prende le distanze. Lucrezio, Melville, Dostoevskij parlano a lei e con lei tramite la pagina scritta, ma la voce di Adele continua a risuonare ben riconoscibile e ben distinta da quella dei suoi autori preferiti. E anche la scena finale a effetto chiarisce che la lettura introduce a una pluralità e mai a una tirannia.

Molti sono i libri e gli autori esplicitamente richiamati nel corso del romanzo, ma è con discrezione, quasi con pudore, che si affacciano tra le righe citazioni, echi e nomi veri e propri con i quali la protagonista si misura nel corso delle sue sedute di lettura, che trovano poi una naturale prosecuzione nelle conversazioni con amici e amanti, i quali condividono con Adele uno spazio affollato di presenze eteree, eppure molto concrete. Scott Fitzgerald, Musil, García Márquez, Calvino e tanti altri entrano nel vivo del testo e prendono parte all’azione con tutto il peso delle frasi da loro scritte. Adele vive con loro, dà respiro alle loro parole e sostanza alle loro pagine. È assolutamente convinta che la letteratura possa salvare il mondo. Il motivo che serpeggia lungo tutto il testo è il dilemma che oppone Adele a tutti gli altri personaggi che incrociano la sua esistenza: per la protagonista leggere non è allontanarsi dal vivo della vita, il libro non è un rifugio o un guscio all’interno del quale trovare scampo dalle insidie della realtà presente. Al contrario leggere è l’unico modo per lei possibile di entrare davvero nella realtà, ma è anche l’unico modo di intenderne il linguaggio. Ed è solo grazie ai grandi autori che avviene la trasformazione tra esperienza e maturazione, perché è grazie al tempo dilatato della letteratura che gli eventi si aprono e si rendono accessibili in quanto significanti e non solamente accaduti.

Grazie ai libri avviene la trasformazione necessaria che fa di una ragazza semplicemente bella e intelligente un personaggio agguerrito, capace sì di qualche stranezza e di qualche incongruenza, ma anche capace di andare a trattare con i boss del quartiere e strappare un accordo che porti alla nascita di un centro di alfabetizzazione in uno dei quartieri più degradati della città. Insomma la scommessa di Rea è questa: disegnare un personaggio che si è sostanziato di grandi testi e metterlo alla prova nella simulazione della vita: con la madre, con un amante, con gli amici.

Il cammino di Adele è tracciato in parallelo con quello di Fausto, l’amore di lunghi anni che viene abbandonato sulla base di un’inquietudine che al lettore in parte viene narrata e in parte lasciata immaginare. Adele non è un personaggio univoco, sembra completamente trasparente e ogni tanto invece aggiunge un elemento imprevisto, che aumenta l’indecifrabilità della protagonista. Mentre la ragazza brucia grani di incenso solo sull’altare della lettura, Fausto è totalmente assorbito dalla politica. Il Partito (comunista) è il centro di ogni suo gesto. Entrambi vorrebbero cambiare il mondo e salvarlo, ma non ci riescono.

Dunque, è questa la storia di un’Italia che ha tentato di costruire un mondo sostanziato di civili conversazioni, di leali confronti e di veementi ma rispettose contrapposizioni, in cui però non si è saputo tradurre in azione il desiderio di rendere il mondo migliore. Il romanzo si chiude sul presente, quando Adele ha cinquantaquattro anni e vive a Napoli sola con una devota governante in una grande casa piena di libri che continua a divorare giorno e notte. Fausto rappresenta un altro tipo di ripiegamento, quello politico. Il Fausto adulto è il compimento effettivo di quel giovane ombroso e incapace di azioni incisive che il lettore incontra nella prima parte del romanzo. Lui ha scelto un’esistenza quieta, forse alimentata da rimpianti inesprimibili. Lei ha scelto invece di continuare l’avventura, l’esplorazione, il rischio di tuffarsi in mondi diversi da quello contingente.

Il personaggio di Adele presenta qualche analogia con il Federico Caffè oggetto dell’Ultima lezione, pubblicato da Rea nel 1992: due personaggi che dedicano l’intera vita a un ideale, intelligenti lettori della realtà, ma soprattutto segnati da un rigore morale che impedisce loro qualsiasi indulgenza o compromesso. Entrambi vogliono operare all’interno della storia, e invece assistono al naufragio di un’Italia che sceglie i modelli peggiori, per cui si consegnano a una forma di solitudine che non può non essere intesa come implacabile negazione di consenso. L’allontanamento di Adele da Fausto segna anche il distacco della cultura dalla politica, due mondi che l’autore rappresenta come incapaci di agire nel concreto.

Rea, l’autore di Mistero napoletano e della Dismissione, non si lascia sfuggire l’occasione di fare il punto anche sul versante letterario, quando fa dire a Adele: «vedo intorno a me un’Italia stremata …che cosa fanno i romanzieri mentre la casa brucia? Perché sussurrano invece di parlare?».

In questo romanzo si aggirano molte ombre, ad esempio, Eleonora Pimentel, l’aristocratica rivoluzionaria che per amore dei Lazzari napoletani affrontò il patibolo; Pavese e il suo suicidio, il brigatismo, il solipsismo di don Chisciotte. Ma il testo si chiude sul sorriso del seduttore, don Giovanni, sulle sue profferte incantatrici e inconsistenti. Un sorriso che, evidentemente, non cessa di esercitare il suo incanto.