Il Pibe c’è. Per i medici il recupero dall’operazione al cervello procede con una velocità sorprendente. Sta meglio, è addirittura pronto a tornare a casa, Diego Maradona, mentre l’esercito dei suoi fedeli si concede il cambio davanti alla clinica dove è ricoverato. Oppure sotto casa, a Buenos Aires. Lui non li vede, li avverte. È l’ennesimo percorso di risalita del fuoriclasse del calcio mondiale che da qualche giorno è scollinato al traguardo dei 60 anni avendo vissuto più vite di un gatto. È ancora Diego, sempre Diego. Anche dal letto di una clinica.
Una caduta, forse, provocata dai sonniferi, l’ematoma al cervello tralasciato perché Diego è Diego, anche in questo. Si trascura, si tralascia, rischia di morire. Poi si rialza. E presto racconterà di esserci andato vicino, come tanti anni fa, l’infarto, il cuore che non funziona, il salto a un passo prima che «el Barba», come lo chiamò lui, decise che non era ancora il momento. È sempre quel Diego Maradona, anche se la cocaina è un ricordo da quasi 15 anni, con un’altra dipendenza dietro l’angolo secondo l’ultima delle sue compagne di vita, Rocio Oliva. Una delle tante avventure della sua vita.

L’ALCOL sarebbe ora il nemico, oltre alle pillole che assume per dormire. La depressione, le sanguisughe che lo perseguitano, come ha ricordato sua figlia Giannina, Diego in causa per soldi con l’ex moglie Claudia e una famiglia sfasciata. È da sempre complicato mettere a letto i demoni dai tempi di Barcellona e così a Napoli, dove la notte, assai spesso, era un autostrada dei divertimenti.
Perché lui è Maradona. L’ultima, forse unica rockstar del pallone, che si è consumata tra genio e decadenza, poesia e notizie da tabloid, ma non usate questo termine davanti agli inglesi, che sono ancora in collera con lui dai tempi della doppietta a Messico ‘86 con la mano dei Dios come ricompensa dello scippo delle Malvinas. Nelle classifiche dei più grandi spesso non lo citano, lo tagliano fuori. Come se la gente e gli appassionati avessero dimenticato. E per chi non era nato, ora c’è YouTube.

QUALCHE GIORNO prima dell’intervento al cervello per la rimozione dell’ematoma, Maradona senza forze, caracollante, si è presentato alla festa di compleanno in suo onore organizzata dal Gimnasia La Plata, la squadra che allena in massima serie argentina. Debilitato, dimagrito, sofferente, la mascherina a coprire il viso, ma incredibilmente in tuta e scarpini, osannato dai suoi tifosi. L’ennesima fisica esibizione di un corpo imperfetto, consumato dalle dipendenze passate, dalle articolazioni fatte a pezzi per calci, cortisone, partite giocate al 20% delle sue possibilità atletiche. Insomma, un uomo, un dio avvolto da problemi degli umani, la solitudine anche per il Covid-19 che gli impone, da soggetto a rischio, di stare a casa, distante dal suo pubblico, la benzina emotiva che l’ha spinto sempre avanti. Diego non ha mai nascosto nulla al suo pubblico. Anzi, ha quasi cercato l’esibizione senza filtri della sua decadenza, che non ha allontanato i fedeli, anzi ne rafforza l’amore, la vicinanza che non ha mai conosciuto crisi. Ha alimentato il mito. Anche stavolta ci racconterà, a modo suo, dividendo il mondo tra i suoi e gli altri.