«Sarebbe una bomba atomica», dice Obama, e all’improvviso il default non è più così remoto, lo shutdown non è più un sintomo transitorio: il raffreddore della chiusura può evolvere nel cancro del fallimento, sbotta il presidente degli Stati uniti. Nella guerra che si combatte sui microfoni la Casa Bianca passa decisamente all’attacco, e per chiarire il concetto anticipa la nomina del nuovo presidente della Federal Reserve, la banca centrale nordamericana: sarà Janet Yellen, una donna (è già grossa) e con fama di keynesiana (ed è ancora più grossa).

Nono giorno di serrata pubblica, 800mila impiegatigovernativi a casa, gli Usa arrivano a sera richiamando al lavoro un po’ di scienziati federali per un’epidemia di salmonella a Atlanta, facendosi prendere in giro dal sito web dei talebani («Americani svegliatevi, i vostri politici giocano col vostro destino e con quello del mondo»), registrando la convocazione presidenziale di deputati e senatori, sperando che le voci su un «possibile accordo» siano più concrete delle chiacchiere spese con generosità nell’ultima settimana. E’ un conto alla rovescia, quello per pareggiare il debito con lo stanziamento per pagarlo, un conto che finisce il 17 ottobre: entro quella data il numero 16.699.421.095.673 (lo stanziamento autorizzato dal Congresso, sedicimila miliardi eccetera) deve diventare 16.747.468.940.509 (il debito calcolato dal Tesoro). La differenza è di 48 miliardi di dollari.

«Il presidente non pagherà alcun riscatto», manda a dire Obama ai repubblicani che fanno cuocere lui e il paese sulla graticola dei debiti. Non ci saranno smantellamenti dei – residui – programmi di assistenza pubblica in cambio dell’aumento del tetto del debito, non verranno distrutti i programmi sanitari che ancora resistono alla carica iper-liberista. «Lo shutdown rovina la nostra immagine nel mondo, è come dire – afferma Obama – che noi, l’America, non paghiamo i nostri debiti. E’ irresponsabile. Facciamola finita subito, ci sono abbastanza repubblicani e democratici alla Camera per approvare un provvedimento che riapra l’attività del governo. Come ha detto Warren Buffett, il default sarebbe una bomba nucleare, un’arma troppo orribile per solo pensare di usarla». Non è la prima volta che il re della borsa americano viene trascinato nell’agone politico: Buffett fu in prima fila nelle critiche alla riforma fiscale di Bush jr. E se lo dice un multimiliardario…

Ma il nome della giornata è Janet Yellen. Newyorchese di Brooklyn, nata l’anno dopo la fine della II guerra mondiale da un medico e un’insegnante, discepola di James Tobin a Yale, sposata a un Nobel per l’economia, sostituirà Ben Bernanke – giunto alla scadenza del mandato e non intenzionato a rinnovarlo – alla guida della Federal Reserve. Una bella scossa per la banca centrale americana, che passerebbe – nelle parole del New York Times – da un luogo di burocrati con il terrore dell’inflazione a uno di accademici con la pulsione dei posti di lavoro.

Con la recente nomina di Elvira Nabiullina, che Putin ha messo a guidare la banca centrale russa, sono 17 le donne che dirigono banche centrali nel mondo (che comprende quasi 200 paesi, con relativa banca centrale). Ma per essere considerata una novità, a Janet Yellen non manca solo il cromosoma Y: gli manca soprattutto l’ossessione genetica dei banchieri federali americani per l’inflazione. E’ keynesiana, insomma (e persino democratica, trent’anni dopo Paul Volcker). Neanche lontanamente radicale (e di sinistra), ma comunque roba forte in un mondo di doppiopetti che sull’altare del controllo dell’inflazione hanno macellato decine di milioni di persone e i loro posti di lavoro. Scelta al posto di Larry Summers (che rivincita: un commento maschilista sull’intelligenza delle donne lo mise nei guai a Harvard), Janet Yellen affronterà il mostruoso numero sopra citato con nuovi strumenti. Un esempio? Ogni mese gli indebitatissimi Usa acquistano 85 miliardi di dollari di titoli pubblici per iniettare liquidità nei mercati e tenere bassi i tassi: è prevedibile un lento addio a questa politica.