Oggi potrebbe essere una giornata molto importante per la vicenda di Julian Assange. Il parlamento europeo decide, infatti, sull’attribuzione del premio Sacharov e il fondatore di WikiLeaks è nella rosa ristretta (insieme alla popolazione dell’Ucraina con Zelensky e alla commissione Verità della Colombia) dei finalisti.

Senza nulla togliere alle altre ipotesi, va da sé che un tale riconoscimento costituirebbe una svolta per una persona che sta languendo nella Guantanamo inglese. Colui che, senza prove reali, è stato accusato di rapporti non commendevoli con la Russia, otterrebbe un’onorificenza che prende il nome da un prestigioso scienziato perseguitato dalla vecchia Unione sovietica fino all’avvento di Gorbaciov. Nel nome di una vittima di regime, si farebbe un gesto umanitario verso un’altra vittima delle repressioni autoritarie.

Il premio va a coloro che si sono distinti nella lotta per la libertà e per i diritti. Chi, se non il giornalista di origine australiana ne è meritevole? Si è impegnata con tenacia per simile obiettivo la deputata europea Sabrina Pignedoli che giorni fa, con diversi colleghi, ha invitato a Bruxelles Stella Morris – la moglie che assiste come avvocata la vittima sacrificale – a presentare la candidatura.

Se andrà per il verso giusto sarà più difficile tenere in piedi il castello artificioso delle accuse, basate sulla costruzione a tavolino del nemico, secondo una cinica prassi degli apparati occulti degli stati. Per tutelare il potere segreto (vedi l’omonimo felice volume di Stefania Maurizi, prossimo alla nuova aggiornata versione in lingua inglese), è indispensabile – secondo quelle logiche terribili – rovesciare l’ordine degli addendi: la vittima deve assumere le sembianze del carnefice, affinché i veri colpevoli possano scrollarsi di dosso il peso dei delitti.

Ora il quadro è cambiato. La federazione internazionale dei giornalisti, insieme all’omologa italiana, ha fatto sua la vicenda, e l’Ordine nazionale di categoria ha dato la tessera ad honorem ad Assange, con pieno riconoscimento professionale. Tra l’altro verrà materialmente consegnata dal presidente dell’odg Carlo Bartoli al padre John Shipton in un panel dedicato ad Assange il 28 ottobre a Torino, nell’ambito del Premio intitolato a Roberto Morrione.
Lo scorso sabato si è tenuta una maratona di 24 ore, organizzata dalla testata Pressenza con collegamenti in numerose parti del mondo. A Roma la discussione si è svolta nella redazione di Left con svariati interlocutori, a partire da Patrick Boyle che ha curato un interessante volume collettaneo distribuito come supplemento della rivista. Ma le adesioni sono state tantissime: dall’Australia, al Mozambico, a svariati paesi europei, agli stessi Stati uniti dove se estradato un carcere speciale aspetta Assange.

Emerge ormai la necessità di coordinare i comitati che si stanno mobilitando per una causa generale, che riguarda l’autonomia e l’indipendenza dell’informazione. Un ulteriore passo avanti verrà dalla conferenza stampa prevista per domani alle 11,30 – presso la sede della Fnsi- del gruppo «La mia voce per Assange» che sta raccogliendo video di testimonianza nell’universo dei media, della cultura e dello spettacolo. L’incontro è promosso con la federazione ospitante, l’associazione degli autori cinematografici, Amnesty International, FreeAssange e l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico. Introdurrà Stefania Maurizi.

Infine. Il nuovo parlamento si occuperà di un caso così rilevante per la vita democratica, al di là delle opinioni politiche?
Siamo di fronte a un passaggio storico: se Assange verrà estradato dalla Gran Bretagna oltre oceano, saremo tutte e tutti colpiti senza alcuna eccezione. Non è lecito lavarsene le mani.