Enrico da Tel Aviv, Louis da Bali, Cristiana da Londra e Rudra da Stoccolma. Tre fratelli e una sorella di madri diverse richiamati dagli angoli del pianeta a Vallombrosa, in terra toscana, da un padre in comune che improvvisamente li vuole rivedere. Aurelia, la quinta e la più vecchia, non risponderà alla chiamata, troppo alle prese con il suo lavoro di primario a Milano. Cosa vuole dai propri figli Antonio Michelangelo, ingegnere e imprenditore di successo, oltre che artista, scrittore di un solo libro e regista di un solo film? C’è di mezzo un’eredità? O un’importante comunicazione in extremis? I fratelli Michelangelo (Mondadori, pp. 612, euro 20), ultimo romanzo di Vanni Santoni, è un libro di oltre seicento pagine, nelle quali il mistero sui motivi di una chiamata e l’intreccio di storie parallele che convergono all’incontro finale disegnano una narrazione corale. A emergere è la complessa questione del rapporto col padre, non solo in un’accezione personale, ma anche e soprattutto generazionale.

Fratelli e sorella Michelangelo fanno parte di quei cervelli e corpi in fuga, alle prese con una precarietà diffusa e internazionale che li porta quotidianamente a improvvisare lavoretti più o meno sicuri, dal settore turistico ai traffici illeciti, o ad affrontare il sessismo e la competitività tossica del mondo artistico, come nel caso di Cristiana. A fare da controaltare alle delusioni e alle difficoltà dei quattro giovani c’è un padre quasi ottantenne che gode di successi lavorativi e meriti ottenuti quasi per caso. Alle soglie della crisi – il romanzo è ambientato nel 2007 – quella di Enrico e Louis sembra una generazione già capace di intuire le contraddizioni e i paradossi degli anni che sarebbero seguiti, nello smarrimento sempre più generale.

L’opera magna di Santoni è anche un tentativo di portare alla luce quel rimbalzo di cervelli di cui meno si parla rispetto alla corrispettiva fuga, un ritorno di tante e tanti giovani alle città di origine o a metropoli del proprio paese che si sta verificando negli ultimi anni, vuoi per impossibilità a continuare carriere lavorative o accademiche, o forse per un declino del dio-fatti-il-culo-mitteleuropeo che la crisi ha dimostrato essere più uno specchio per allodole piuttosto che una risposta individuale ad un problema globale.
I fratelli Michelangelo è una storia che parla di una generazione in cerca di identità, disinteressata all’auto-riconoscimento in un identitarismo nazionale o territoriale, ma aspirante invece a tracciare narrazioni utili per interpretare la contemporaneità. Una generazione accomunata dall’assenza di futuro e da un padre che in modo imprevisto e non richiesto torna a fare ingresso in scena.