I fantasmi sanno di essere fantasmi? E quando si incontrano si riconoscono? Pietro, un uomo anziano, in un decadente appartamento di una cupa e ventosa Trieste, in totale solitudine, avanza nel tempo senza neanche accorgersene. Vive in un presente ormai eterno, in uno scorrere nel quale futuro e passato non sono più in lotta, uniti loro malgrado da un patto di non belligeranza. Alzarsi dal letto, i pasti, la passeggiata, gesti quotidiani ripetuti più volte all’oscuro degli altri. Non è più possibile distinguere quello che era ieri da quello che è oggi, e quello che sarà domani.

SE NON FOSSE che, a un certo punto, il mondo esterno irrompe eccezionalmente nell’esistenza di Pietro. Bussano con insistenza alla porta. Una visita indesiderata, è un ufficiale con un’ordinanza immediata di sfratto. Quasi una certificazione burocratica per trasformarsi definitivamente in un uomo che non c’è. Un fantasma però sa di essere invisibile. E così, nel corridoio della casa, Pietro decide di scomparire dietro un muro tirato su all’istante. Mentre da una parte si smantellano le tracce di un’esistenza ignorata, per speculare e guadagnare su altre vite, dall’altra un occhio non può fare altro che osservare da un minuscolo foro l’opera distruttrice di un’umanità cieca. Inaspettatamente, un secondo buco nella parete apre parzialmente a un altro universo, a un’altra visione, a qualcosa che riporta alle due domande iniziali e ai fantasmi in un tempo che si è cristallizzato.
L’angelo dei muri di Lorenzo Bianchini, regista, sceneggiatore (qui con Michela Bianchini e Fabrizio Bozzetti), montatore, scenografo, per la prima volta ex produttore di sé, noto per i suoi horror indipendenti (il più recente, Oltre il guado, risale al 2013), è un film drammatico sottolineato da una musica talvolta ridondante, ed è un thriller che si sviluppa nella mente del suo protagonista, trascinato in una ricerca che probabilmente non voleva nemmeno iniziare.

Mentre da una parte si smantellano le tracce di un’esistenza ignorata, per speculare e guadagnare su altre vite, dall’altra un occhio non può fare altro che osservare da un minuscolo foro l’opera distruttrice di un’umanità cieca.

ESTENDENDO il genere alle sue molteplici sfumature, il nuovo lavoro di Bianchini potrebbe essere definito anche un horror. Esiste una casa con un ruolo da protagonista e si prova progressivamente un sentimento simile alla paura. Una vertigine, come quando ci si affaccia da una finestra, attratti e respinti dal vuoto. Per Pietro, quella finestra ha la forma di un piccolo foro nel muro che si vorrebbe allargare per vedere oltre. Per comprendere qualcosa in più della casa, la cui vita è segnata da storie gioiose e tragiche come in ogni favola, e non da porte che sbattono per spaventare artificiosamente il pubblico. E in quel varcare il limite, nel saperne più di se stessi, si può scoprire un filo molto sottile tra una condanna dolorosa e un’agognata redenzione.