Ogni famiglia infelicè lo è a modo suo, si sa e lo chiariva già il grande russo fin dall’incipit di Anna Karenina. Cosa dunque si potrebbe ancora aggiungere alla storia, singolare e plurale, della famiglia e della sua perenne crisi? Forse si potrebbe indagare ancora più a fondo come quell’infelicità sia il frutto velenoso della felicità di alcuni componenti di quello stesso nucleo. E come la difficoltà a riconoscersi e ritrovarsi proprio all’interno di essa ne definisca il grado di felicità e infelicità senza che la messa a fuoco di sé venga mai discussa. In un certo senso la famiglia è la sua stessa crisi, lo sa benissimo Leonardo G. Luccone che con il suo nuovo romanzo, Il figlio delle sorelle (Ponte alle Grazie, pp. 208, euro 16) che segue il monumentale La casa mangia le parole, dando forma a un dittico proprio sulla famiglia e le sue proiezioni che definisce la misura e l’ambizione di un autore capace di sperimentare con il più classico dei temi novecenteschi.

CON UNA RICOSTRUZIONE linguistica attenta agli stati psichici in continuo disequilibrio del protagonista, Luccone costruisce un immaginario psichedelico possibile (e non meno veritiero) del delirio famigliare nell’epoca contemporanea. Le incomprensioni e i dolori improvvisi, le cose sempre sapute, ma subito dimenticate, così come tutte le dinamiche che trasformano la vita famigliare in un intreccio di radici salde quanto stritolanti, divengono nel romanzo l’elemento fluorescente di una narrazione raffinata e mai scontata. La scomparsa per quindici anni del protagonista e voce narrante diviene il nodo attorno al quale costruire nella crisi una possibile via d’uscita. I temi ricorrenti sono quelli tipici della fluidità contemporanea, dei desideri difficili da chiarire (oltre che da esigere, anche legalmente) e di un tempo che vede ancora in Italia la famiglia come l’ancora utile per impedire ogni possibile fuga nel futuro.

LUCCONE coglie appieno come la crisi sia la soluzione e la famiglia lo strumento arcaico dentro cui si celano i peggiori istinti, non più tipici solo dell’organizzazione patriarcale, ma seppure con tutte le affinità del caso, della decadente, ma non debole istituzionalizzazione che pervade ogni ambito del nostro tempo anche sotto la lucida nomea di una tecnologia digitale che tutto scioglie e rende disponibile. Ed è così che il protagonista diviene tale quale elemento di crisi perenne. Lui padre di famiglia è l’asse che portante non può più essere. Luccone inserisce con estrema sensibilità in un contesto apparentemente confortevole (da un punto di vista narrativo) quale è il tema della famiglia, la crisi di un uomo che non vede più sgretolarsi il suo potere di cui ha fatto anche in maniera codarda a meno, ma la sua stessa identità che appare sempre priva di ogni significato. Il figlio delle sorelle indaga il passato scorgendo un futuro possibile per l’uomo, sia pure già sconfitto dalla Storia.