Presso l’Arena di Verona, tra II e III secolo d.C., un patrizio romano ristrutturò una domus  appartenuta ad un altrettanto facoltoso personaggio. Una dimora non grande ma raffinata che doveva già avere un bagno con acqua calda, una vasca scolpita nel tipico marmo rosa e un portico sostenuto da esili colonne di tufo intorno a una corte centrale. L’ignoto subentrante la abbellì con eleganti mosaici a tre colori, a fiori e motivi geometrici. Un incendio, forse quello nel 590 ricordato da Paolo Diacono, la devastò causandone l’abbandono. La città moderna vi salì sopra e ne occultò i resti. Nel 1973 la Banca Popolare di Verona affidò a Carlo Scarpa il rinnovamento dei suoi edifici in Piazza Nogara, uno dei quali è la sua ultima opera, il più grande edificio pubblico da lui costruito. I lavori, iniziati nel 1974, portarono alla luce i resti della domus. Scarpa si occupò anche di essi per renderli visibili, comunicanti con lo spazio di sopra. Alla sua morte improvvisa nel 1978 il progetto venne portato avanti dai suoi collaboratori e infine completato, nella zona della domus, da Cini Boeri: un’apertura circolare e un’altra irregolare nel pavimento del piano terra permettono la visione dello scavo, a circa tre metri di profondità.

Un’intuizione felice e una collaborazione concreta ed efficace consentono ora alla domus di Piazza Nogara di mostrare una vocazione espositiva: fino all’8 aprile la Banca popolare di Verona ospita nei suoi ambienti una esposizione, o meglio una installazione ambientale a cura di Daniela Rosi, intitolata Pharmakon – I serpenti di Dario Righetti. La curatrice ha avuto il supporto di Elisabetta Sinigaglia, alla guida del patrimonio della Banca popolare di Verona, che è stata sostenuta dall’entusiasmo della collega Michela Parolini e dell’architetto Stefano De Franceschi, del team che si è occupato del completamento e del restauro degli edifici di Scarpa, illustrati in un bel catalogo appena pubblicato e presentato in concomitanza con l’inaugurazione di Pharmakon.

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La mostra si inserisce nel progetto della Fondazione del Credito Bergamasco a sostegno del LaO (Laboratorio artisti outsider) per artisti che vivono una condizione di marginalità. La prima volta di Pharmakon è stata infatti a Bergamo, tra settembre e ottobre 2015, presso il centro culturale S. Bartolomeo, promossa dal segretario della Fondazione Angelo Piazzoli che ne è stato anche il curatore insieme alla stessa Daniela Rosi.
I serpenti di Dario Righetti sono il soggetto unico di novantaquattro tempere su carta formato album. Per l’autore, i «bissi», i serpenti in Veneto, rappresentano tutto ciò che gli ha causato sofferenza, gli oggetti persecutori del suo difficile vissuto: dipingendoli li fa uscire da sé, li esorcizza. Come il «pharmakon» del titolo, sono insieme veleno e cura. Righetti è nato nel 1935 in un quartiere popolare della città scaligera e durante la guerra, nella zona della campagna circostante in cui venne sfollato giovanissimo, fu destinato a lavori agricoli. Un avvenimento traumatico gli causò crisi convulsive in ragione delle quali, a soli tredici anni, venne ricoverato nell’ospedale psichiatrico di San Giacomo alla Tomba di Verona. In manicomio per epilessia: questo accadeva a un soggetto di classe non agiata alla fine degli anni quaranta del secolo scorso.

Nel 1957 incontra Michael Noble e la sua vita cambia. Noble è uno scultore scozzese che presso l’ospedale di San Giacomo organizza un atelier che mette a disposizione di quanti siano interessati all’espressione artistica. Senza insegnamento, senza regole, con la convinzione che ciò avrebbe giovato a una maggiore serenità psicologica. L’atelier è frequentato, tra gli altri, da Carlo Zinelli e anche Dario Righetti prende a visitarlo. Successivamente, tra soggiorni in comunità e tentativi di vita autonoma, Righetti smette di dipingere: ricomincerà solo nel 2005 e da allora non smetterà più di rappresentare i suoi «bissi» che strisciano o avvolgono, a volte sembrano quasi innocui altre minacciosi e inquietanti, reticoli grigi che paiono quasi in rilievo sui colori primari del fondo, violenti e perentori. Solo apparentemente meno minaccioso, il veleno talvolta si cela in forme di colore rosa, celeste, viola chiarissimo.

Nella domus di Piazza Nogara, tra i resti dei muri ortogonali che dividevano le stanze con i loro intonaci dipinti, le carte dipinte di Righetti disposte in terra, nel cortile centrale, negli ambienti laterali e nelle stanze in fondo, più in ombra, entrano in dialogo strettissimo con i mosaici antichi, come tappeti molto regolari di tessere che contengono in sé un movimento magmatico e ipnotizzante. La paralisi del veleno diventa forza vitale, il Serpente di bronzo si colora e si moltiplica, per sua fortuna (e per la fortuna del simbolo che incarna nella memoria collettiva) cambia incessantemente pelle.