È forse nello smarrimento degli abitanti di Holcomb, una placida cittadina del Kansas colpita dal brutale massacro di un’intera famiglia di sei persone, che si può ricercare una delle ragioni del successo del genere true crime. Uno smarrimento descritto da Truman Capote nel suo capolavoro A sangue freddo dopo quattro colpi di pistola che risuonarono in una notte di novembre del 1959: «In seguito gli abitanti della cittadina, fino ad allora abbastanza fiduciosi da prendersi raramente la briga di sbarrare la porta di casa, indugiarono a ricrearli più e più volte – cupe detonazioni che facevano divampare incendi di sfiducia al cui riverbero molti buoni vicini di un tempo si guardavano stranamente, e come estranei».

All’elemento della paura subentra naturalmente quello della curiosità, anche morbosa: come è accaduto – ma soprattutto perché? Una domanda che genera speculazioni, chiacchiere, altre domande, rabbia. Tutti fattori che si prestano alla narrazione così come l’appassionante avvicendarsi delle fasi procedurali che seguono un crimine: indagini, processi, giudici e giurie, assassini. Figure letterarie che vengono dalla realtà e alla realtà tornano con il loro portato di immaginario nel racconto del «crimine reale», che ha un seguito vastissimo sin dai tabloid della Londra vittoriana che raccontavano le gesta sanguinarie di Jack lo squartatore: il caos che piombava in un rigoroso ordine solo di facciata. E proprio i serial killer, massima incarnazione non solo dell’evento mostruoso ma del «mostro» tout court costituiscono un sottogenere a parte del true crime, che con la golden age delle serie tv e il moltiplicarsi delle piattaforme streaming – dunque di un’offerta smisurata alla ricerca del proprio pubblico – punta come mai prima su un genere di cui sembra esserci inesauribile richiesta.

Non solo negli Usa ma com’è ovvio soprattutto nel Paese con un vero e proprio «pantheon» di serial killer – nomi famosi come quelli delle star del cinema, da Charles Manson a John Wayne Gacy – e una produzione di film e serie che raggiungono e colonizzano l’immaginario del mondo intero. E se buona parte di questi prodotti non fa che capitalizzare sul portato sensazionalistico di crimini efferati, e cerca di opporre un ordine artificiale al caos e al «male», altri attraverso il crimine sanno raccontare soprattutto il mondo che lo circonda e in cui è «germogliato» – e contemplano con onestà la domanda da sempre destinata a restare senza risposta: perché?