Siamo arrivati alla fatidica ricorrenza, da molti paventata, dei quarant’anni dall’assassinio di Pier Paolo Pasolini all’Idroscalo di Ostia. Le vicende giudiziarie per fare luce ufficiale sui fatti, sembrano essersi richiuse per l’ennesima volta. Resta vivissima l’eredità poetica, cinematografica, polemica e intellettuale di una personalità unica, che ha saputo su ogni cosa scuotere questo paese «orribilmente sporco». E le «celebrazioni» di questi giorni ripropongono la reattività differenziata dell’intera cultura italiana davanti al vasto corpus della sua attività. Ce ne sono di stimolanti e poetiche, e altre che fanno pensare a certe feroci scritture grottesche del poeta (cui dava voce la sua sublime Laura Betti, come la petulante e ignara intervistatrice di Una disperata vitalità). Una per tutte, la partecipazione a un reading commemorativo previsto a Roma per lunedì, del ministro della cultura del medesimo paese «sporco»…

Intanto però si può registrare un primo debutto felice di questi «omaggi» commemorativi, che potrebbero almeno spingere nuove generazioni di lettori ad avvicinarsi ai testi del poeta. Sono Pasolini (al teatro India ancora stasera e domani) è un viaggio tra parole e musica composto da Giovanna Marini attraversando un altro territorio pasoliniano, quello del «paese di temporali e di primule» dell’infanzia e della giovinezza friulana a Casarsa.

Si tratta di una composizione per coro e voce recitante, che instaura una sorta di dialogo contrappuntato tra le parole del poeta e le voci dei venti cantanti del coro. Il testo è quello scritto agli inizi del’75, I giovani infelici, pubblicato poi nelle Lettere luterane. Ed è un’analisi stringente e dolorosa della condizione di chi sente il mondo intero attorno a lui farsi inghiottire dal consumismo totalizzante: un ragionamento lucido e ineludibile, come Pasolini sapeva fare, sulle trasformazioni che cambiavano irrimediabilmente la condizione umana.

Ma a rispondere ai brani del testo sono i componimenti in musica che il Coro favorito (una scelta selezione degli allievi di Giovanna Marini alla Scuola popolare di musica del Testaccio, in questo caso diretti da Patrizia Rotonda), sono le «canzoni» dolcissime, struggenti, spesso sorprendenti, e sempre emozionanti, che la Marini ha composto dalle poesie friulane del poeta, tratte da La meglio gioventù. E che fanno scoprire anche ai distratti come quei sentimenti, quei dolorosi presentimenti albergassero già in un’epoca pure felice e incantata della sua vita. Anche se non hanno ovviamente il tono severo e indiscutibile delle affermazioni della maturità.

Giovanna Marini è abilissima, nell’introdurre i diversi momenti del contrappunto a sottolineare toni, sfumature, cromatismi di quell’infanzia curiosa e gaudente. Grande musicista, l’artista è anche una grande didatta, capace di comunicare sensazioni e intuizioni a tutto il pubblico, senza nessun’ombra didascalica o pedante. Quella decina d’anni tra il soggiorno in Friuli e la venuta a Roma, in cui il poeta scopriva l’eros e la politica, il pericolo e il conformismo blindato e ipocrita di una società ancora barricata nella bigotteria, sono un percorso di formazione straordinario, che prende non solo voce ma cuore e corpo nei componenti del coro, capaci di cantare, sussurrare, e perfino danzare con crescente sicurezza. Mentre Enrico Frattaroli, voce di Pasolini, vince gli iniziali pericoli di speakeraggio nella adesione sempre più profonda alle provocazioni del testo.

Una serata fruttuosa si rivela lo «spettacolo», che per altro Marini suggella col colpo basso delle due canzoni che tanti anni fa compose per il poeta ucciso: Lamento per la morte di Pasolini e Ragazzo gentile. Due ferite musicali che già trent’anni fa rivelavano il rapporto misurato e profondo che tra i due artisti si era instaurato a suo tempo, e che oggi si fanno collettivi momenti di riflessione e commozione struggente.