La vendetta dei burocrati. È il titolo del bell’Op Ed di Elizabeth Drew uscito qualche giorno fa sul «New York Times». Una delle firme storiche del giornalismo politico americano, formatasi scrivendo di Watergate, nel recente articolo, Drew celebrava i funzionari del Dipartimento di stato che, uno dopo l’altro, si sono presentati a testimoniare davanti al commissione della Camera che sta valutando l’impeachment di Donald Trump. Sono – come quelli che contribuirono alla fine della presidenza Nixon, scrive la giornalista – dei professionisti seri e della persone di coscienza, che credono nel loro lavoro, nel loro paese e nella democrazia.

Non importa se, diversamente da Nixon, la loro testimonianza potrebbe non essere sufficiente… È così anche Daniel Jones (Adam Driver), lo staffer congressuale che indaga i memo sulla tortura, nel film The Report, uscito in Italia in questi giorni e che evoca le atmosfere del cinema di denuncia anni ’70.

ED È FATTO della stessa pasta anche Robert Bilott (Mark Ruffalo) che non lavora per il governo americano, ma per un importante studio legale di Cincinnati, nel nuovo lavoro di Todd Haynes, arrivato nelle sale Usa venerdì scorso. Tratto da un articolo di Nathaniel Rich pubblicato sul Magazine del «NYTimes» nel 2016, Dark Waters è un film in apparenza insolitamente «piano», psicologicamente lineare, per il regista di I Am Not There e Carol; ma che nella filmografia haynesiana ci riporta ai colori malati di Safe e alla soffocante malaise sociale che attraversava il melodramma classico in Lontano dal paradiso.

Il prologo, ambientato negli anni settanta, potrebbe essere quello di un film dell’orrore: un gruppo di ragazzi, di notte, scavalcano delle recinzioni e si buttano ridendo nelle acque nere di uno stagno, da cui però sono messi in fuga con l’arrivo di una barca munita di torce, altoparlanti e da cui delle ombre stanno spruzzando una misteriosa sostanza. Cut e siamo alla fine degli anni novanta. Ma i bruni un po’ sinistri e l’atmosfera oppressiva rimangono quelli tipici di certi thriller complottistici dei Seventies -come in un omaggio a Sidney Lumet.

Bilott è appena stato promosso partner di uno studio legale specializzato nella difesa di giganti dell’industria chimica quando un contadino dal paese di sua nonna si presenta armato di una scatola piena di cassette Vhs e chiede aiuto. Le sue mucche stanno morendo, avvelenate da qualcosa nell’acqua sostiene lui. All’estremo opposto dei procedural legali tipo Grisham, Ruffalo/Bilott non proietta la verve di un cuor di leone -sembra insicuro, a disagio, persino nella propria pelle. «Non ti preoccupare, non te ne facciamo una colpa», dice ridendo il suo boss (Tim Robbins) quando – mentre l’altro cerca di liberarsi dell’ostinato contadino – sente che il nuovo partner viene dallo stato poverissimo del West Virginia. Così povero, scopriremo presto, quando Bilott con riluttanza estrema accetta di farsi carico del caso, che alcuni agricoltori sono costretti a svendere la terra a industrie come la DuPont, che magari poi trasformano quei campi in discariche per scorie tossiche derivate dal teflon.

COSÌ POVERO, implicano le pieghe profonde del film di Haynes, che nessuno ci fa caso se troppa gente si ammala di cancro. Così povero… da non contare. Nello specifico, Dark Waters ricostruisce come la crociata individuale di un avvocato abbia messo alla luce il fatto che, per decenni, la DuPont ha consciamente avvelenato i cittadini di Parkersburg, in West Virginia. Ad oggi, Bilott sta continuando a rappresentare con successo,una a una, le vittime di quello scempio. Ma è la stessa storia degli Stackler di Purdue Pharma, che si sono arricchiti con il Fentanyl, mentre creavano milioni di tossicodipendenti; o di Adam Bowen e James Monsses, i giovani imprenditori di Juul Labs, inventori delle sigarette elettroniche al mentolo che adesso stanno bandendo da tutte le parti perché dannose come il tabacco. È la storia di abusi del capitalismo che non sono più scandali isolati ma cose di tutti giorni. Il che rende il cupissimo film di Haynes un horror autentico, allo stesso tempo necessario e totalmente disperante.