Le sue vignette politiche hanno fatto il giro del mondo arabo diventando strumento di lotta e protesta durante le rivoluzioni. Gli stencil dei disegni di Khalid Albaih, sudanese che vive da molti anni in esilio in Qatar, hanno tappezzato i muri di piazza Tahrir durante la caduta del regime di Mubarak e poi sono stati riprodotti e usati anche dagli attivisti dei movimenti in molte città di Medio Oriente e Nord Africa. Albaih, autore del progetto Khartoon, divertente risultato del gioco di parole fra cartoon e il nome della capitale sudanese, è molto prolifico, attento alla cronaca internazionale che commenta e restituisce in rete liberamente. Immagini corrosive e immediate, dai testi quasi assenti per colpire meglio l’attenzione di un pubblico eterogeneo. Khalid Albaih nei mesi scorsi è stato ospite a Ferrara del Festival di Internazionale e a Ravenna per Komikazen, rassegna internazionale del fumetto di realtà.

Un tema che le sta molto a cuore è quello della «casa», cosa significa per lei questo luogo così metaforico?
Non mi sono mai sentito a casa. Ho lasciato il Sudan quando avevo dieci anni, sono nato in Romania perché mio padre era un diplomatico. Sono andato a Doha e ci sono rimasto molto tempo senza mai tornare nel mio paese, poi finalmente l’ho fatto, ma ora ho problemi a rientrare. Casa è qualcosa che mi fa sentire a mio agio e non un sudanese che vive in Qatar o in America. Molti non capiscono quanto sia difficile per i migranti lasciarsi tutto alle spalle e vivere in un altro paese. Per me sarebbe più sicuro venire in Europa, potrei dire ciò che voglio, ma trovarmi nel mondo arabo è importante per riflettere su ciò che accade in quell’area. Vorrei che «sentirsi a casa» fosse possibile per tutti, anche per i siriani. E cerco di spiegare questo disagio con i disegni, che rappresentano la mia lingua.

Di cosa si è occupato negli ultimi suoi lavori?
Ho lavorato intorno all’Ue e alla questione dei rifugiati. È una tematica perché mi riguarda da vicino. Alla base c’è la ricerca di una casa, capisco bene la loro situazione. Conosco le loro battaglie, sono più fortunato, ma posso immaginarmi in quelle barche. Disegno a partire dalla cronaca, dalle notizie, da ciò che accade e cattura il mio interesse. Non ho un editore. Pubblico quello che voglio. È tutto on-line, libero.

I graffiti e le vignette sono diventati un linguaggio importante nelle proteste di tutto il mondo. Li possiamo considerare una sorta di messaggio universale?
La potenza di una vignetta, e dell’arte in generale, è che non viene fermata dalle barriere delle lingue. Sui social media c’è poco tempo per catturare l’attenzione. Per me è l’unica piattaforma per diffondere il lavoro. Porto il lettore dentro questi temi, non è un mondo piacevole, ma è necessario conoscerlo. C’è chi muore dall’altra parte del mediterraneo mentre noi facciamo una vita comoda. Non ci si può chiamare fuori. C’è un nuovo modo di fare rivoluzione che passa anche dai muri. Non è solo scendere in piazza. Il primo messaggio che si lanciava nelle rivolte dei paesi arabi era che lo stato di paura si era spezzato. Si poteva tornare in strada, le cose erano cambiate, la gente sfidava i regimi. Quando gli artisti escono allo scoperto e disegnano negli spazi pubblici non hanno paura dei dittatori. Molti hanno rischiato la vita. Nei paesi arabi i graffiti non sono particolarmente amati, ma non ci sono giornali, tv e radio per esprimersi. Molti writer non sono artisti, ma hanno voluto urlare che quel sistema si era spezzato. I graffiti hanno sempre avuto un ruolo importante nelle rivoluzioni, basti pensare alla propaganda in Russia, Cina, e in Italia ai tempi di Mussolini. Negli ultimi quarant’anni la classe al potere di quei paesi si è rafforzata, non vuole lasciare le proprie posizioni e dare chance ai giovani, questo ha scatenato la rabbia. Non c’è lavoro, non si vive come esseri umani. La popolazione è arrabbiata per mancanza di giustizia sociale. Se l’occidente vuole dare un aiuto non servono bombe, ma giustizia sociale. Non si possono costruire muri come fra Israele e Palestina e pensare che dall’altra parte non salga odio per l’assenza di diritti. Lo stesso accade in Sudan, diviso fra nord e sud, dove c’è una guerra in corso in entrambe le parti.

L’uso dei testi è ridotto al massimo e in inglese per raggiungere più persone possibili…
Sì. È più importante l’impatto dell’immagine per coinvolgere un ampio pubblico, in arabo non è possibile. Il problema è che gli italiani scrivono fumetti nella loro lingua, lo stesso gli arabi, i cinesi… Chi capisce i miei disegni comprende anche la mia cultura e le mie origini. La visione che propongono i media dell’Islam, degli arabi, dell’Africa è manipolata. Il mio è un modo per farvi avere notizie direttamente, per iniziare un dialogo fra occidente e oriente, arabi e non, musulmani e non, sull’Islam e la libertà di parola.

Cosa ha pensato dopo la strage a Charlie Hebdo con l’attacco mirato ai suoi colleghi che facevano satira?
La libertà di espressione è un’arma che voi (occidentali, ndr) avete e io no. La domanda è: come usare un’arma così potente? In modo positivo per connettere persone differenti o per allargare le disparità? Se disegni il profeta non sei un eroe: non è così, perché ogni giorno migliaia di persone muoiono per niente nel mio paese. Si potrebbe utilizzare quella libertà di espressione per iniziare un dialogo con 1,6 miliardi di musulmani, non per puntare il dito ostentando una libertà di parola che io non posseggo, solo perché si vive nel primo mondo. Si è colonizzato il Nord Africa e si ha tutto in proprio potere. La questione è cosa fare con questo potere. Ogni musulmano nel mondo ha vissuto momenti di tristezza: tre persone su 1,6 miliardi hanno ucciso i fumettisti. Si vuole davvero provocare rabbia in tutti solo perché è concesso farlo? È una scelta personale.

Nella vita privata, sente il rischio connesso al suo mestiere?
Sono minacciato ogni giorno, sono abituato. Non mi sento per questo un eroe, ma devo agire così perché voglio far capire al mondo quello di cui parlo. Non potrei fare ciò che faccio, non sono tenuto a mettere la mia famiglia in pericolo, ma sento di avere uno scopo. Hanno disegnato un soggetto molto sensibile senza capire il background. Tutto questo ha una storia lunga alle spalle, iniziata con la colonizzazione francese dell’Algeria fino a ciò che sta accadendo in Siria. Nessuno ha aiutato l’esercito libero a vincere Bashar e questo ha contribuito a creare l’Isis. I paesi delle proteste sono poveri e poco istruiti. Si tratta di far arrabbiare le persone sbagliate, con un messaggio sbagliato. Bisogna comprendere cosa fare con tale potere, non è solo questione di disegnare il profeta, ma si tratta di un uomo francese occidentale, è lo stesso occidente che ha invaso l’Iraq e l’Afghanistan, ha supportato governi corrotti e capi di stato, e che sta togliendo l’unica cosa rimasta, l’unico eroe.

Siamo un mondo (musulmano, ndr) senza eroi, i nostri politici sono corrotti, lo stesso gli sportivi, i bambini crescono senza riferimenti, l’unico esempio nobile è Maometto. Il petrolio non c’è più, l’istruzione nemmeno, e ci si aspetta che si rimanga indifferenti? Non ci sono gli strumenti per essere preparati. È una questione complicata e sfortunatamente tutti, compresa la comunità europea, hanno pensato guardando dal buco della serratura. Il tema non si risolve intorno alla figura del profeta, ma bisogna ragionare sulle motivazioni che hanno scatenato così tanta rabbia. Se si scava su questo è tutta un’altra storia.

***

PROGETTI «Graphic News», il portale italiano che unisce giornalismo e fumetto. La notizia in tavola, quando il virtuale è reale

Fare informazione a fumetti è la sfida coraggiosa di Graphic News, primo portale italiano a unire giornalismo e tavole per trattare temi di attualità. Le notizie si occupano di cultura, economia, scienze, sport e molto altro. L’uscita è a cadenza settimanale, il taglio è quello dell’approfondimento. L’articolo più letto finora è stato Vaccinofobia! di Claudia Flandoli, biologa e fumettista, pubblicato lo scorso novembre.
Il progetto, a quasi un anno di vita (la prima uscita risale a marzo 2015), ruota intorno alla convinzione che le tavole possano raccontare il mondo, la realtà. «Mancava l’esperienza on-line per esplorare la possibilità digitale del linguaggio del fumetto», ha spiegato Michele Barbolini, uno dei quattro soci della cooperativa Pequod, che è anche editore. Tutto è nato intorno alla decennale esperienza dell’associazione Mirada di Ravenna. Nella redazione centrale, a Bologna, si uniscono competenze ed esperienze diverse, al momento sono circa trenta gli autori collaboratori fra fumettisti, giornalisti, esperti di comunicazione. Fra loro anche Pietro Scarnera, vincitore nelle scorse settimane del premio rivelazione ad Angoulême con la biografia di Primo Levi dal titolo Una stella tranquilla. Oltre a Giuseppe Palumbo, Cristina Portolano, Giulia Sagramola, Silvia Rocchi, Alice Socal, Gianluca Costantini, Elettra Stamboulis e molti altri. Graphic News propone interviste e reportage illustrati, sia in italiano che in inglese: la scommessa è quella di tenere gli occhi aperti sul mondo e dar voce anche a contributi internazionali.
Poche settimane fa, è uscito Matrimonio all’italiana di Michele Soma e Luca Vanzella, sul tema delle unioni civili. Nei prossimi giorni sarà pubblicata un’inchiesta sul ritorno del vinile nel mercato discografico e è già in lavorazione uno speciale sui cambiamenti del quartiere Isola, a Milano. Per info: www.graphic-news.com.