Nel 1919, in piena estate, nasceva sulle pagine della rivista All-Story Weekly con il romanzo breve, a puntate, La maledizione di Capistrano (The Curse of Capistrano), il leggendario Zorro alias Don Diego Vega (diventato poi Don Diego de la Vega), prototipo mascherato dei moderni supereroi Dc e Marvel. A crearlo è lo scrittore pulp Johnston McCulley, un ex reporter della polizia, che, con questo personaggio, trova la fama e il successo. Il clamore per l’eroe è così eclatante che, soltanto un anno dopo, nel 1920, Hollywood si interessa a lui e fa uscire, con un’affluenza di pubblico incredibile, la riduzione cinematografica, Il segno di Zorro, un film muto, dalle sequenze estremamente spettacolari per l’epoca, diretto da Fred Niblo e interpretato da uno dei divi più amati del periodo, Douglas Fairbanks, l’interprete tra l’altro di altri successi come Robin Hood e Il ladro di Bagdad. Lo stesso Johnston McCulley si trova costretto a scrivere altre storie sul personaggio mentre, nei cento anni di vita di Zorro, tutti sembrano impazzire per lui, dalla radio alla televisione fino a toccare la moda con lo stilista Kean Etro che dichiara, sulle pagine de Il corriere della Sera, di essersi ispirato proprio a questo eroe per le sue creazioni. La storia è risaputa: Don Diego, un giovane aristocratico di origine spagnola, all’apparenza uno studente superficiale come tanti, è disgustato dal potente corrotto e crudele che sottomette sotto il suo giogo i cittadini più poveri. Per difendere i deboli e gli oppressi decide quindi di trasformarsi in Zorro (volpe, in spagnolo) indossando un costume interamente nero; così facendo cela la sua identità dietro a una maschera che lo rende irriconoscibile anche ai parenti più stretti. Suoi compagni d’avventura il fedele e silenzioso maggiordomo Bernardo, ma anche Tornado, il suo intelligente cavallo nero, provvidenziale per affrontare i nemici. Un altro personaggio ricorrente è il robusto sergente Demetrio López García, un aspirante nemico più simpatico che pericoloso.
In Italia abbiamo il primato di aver girato il film più sciaguratamente folle ispirato al giustiziere mascherato, Zorro contro Maciste di Umberto Lenzi nei gloriosi anni Sessanta che portavano persino Ercole a fronteggiare Ulisse o i tiranni di Babilonia, chiunque essi siano, ma anche a creare uno dei successi mondiali del personaggio, lo Zorro di Duccio Tessari con Alain Delon che fece capitolare d’amore tante spettatrici dell’epoca. Non male per un personaggio nato su una rivista popolare e che sarebbe nato e morto proprio lì, in una lettura pulp da pochi cent, ma che invece fece impazzire il pubblico statunitense e, di seguito, il mondo intero. Zorro però ha una faccia nascosta che in pochi conoscono: un’anima ballerina che ha infiammato, in questi 100 anni di vita, teatri e cinema, ma non solo, anche, e soprattutto, grazie a colonne sonore orecchiabili delle varie riduzioni su piccolo e grande schermo.

BATMAN
Le origini di Batman cambiano quasi sempre, ad uccidere i genitori può essere un delinquente da mezza tacca, Joseph «Joe Chill» Chilton, o persino il Joker/Jack Napier di Jack Nicholson che declama: «Hai mai ballato con il diavolo sotto il pallido plenilunio?». Quello però che resta uguale è lo spettacolo visto con mamma e papà Wayne un attimo prima, un film o una pièce tetrale su Zorro. È proprio l’eroe mascherato di Johnston McCulley che ispira il costume scuro dell’eroe Dc e la sua carriera fortunata di giustiziere mascherato, ma non solo, è lui che infiamma il guizzo creativo nella mente di Bob Kane quando crea appunto il personaggio di Batman. Si potrebbe dire quindi che senza Zorro, ora Gotham sarebbe un posto terribile e senza legge. Ma cos’è che ha entusiasmato la fantasia dei lettori da quel 1919? Probabilmente la novità di vivere le avventure, le prime forse mai scritte su un eroe mascherato, figlio della famosa Primula rossa, capace di far sognare lettori e lettrici con storie d’amore e duelli (la passione per la bella Lolita Pulido affascinata non da Diego ma dal suo alter ego), nelle quali anche un uomo all’apparenza comune può diventare un eroe.
Per tutti gli spettatori italiani però il nome di Zorro è soprattutto legato alla serie tv in bianco e nero di fine anni Cinquanta, La spada di Zorro, prodotta dalla Disney, e trasmessa con infinite repliche negli anni a seguire. Un telefilm di culto che conta due stagioni, ricolorato nel 1992 durante la trasmissione cult per bambini Solletico, che ha reso iconico il volto del baffuto Guy Williams come protagonista, ma soprattutto che ancora oggi si ricorda per la mitica colonna sonora. Questa sigla ha vissuto ben tre reincarnazioni: nelle prime trasmissioni italiane venne usata quella originale statunitense, scritta da Norman Foster e George Bruns ed eseguita dal gruppo The Mellomen; le repliche, a partire dalla fine degli anni Settanta inserirono invece una prima sigla italiana interpretata dallo Zig Zag Ensemble, ispirata a quella originale nella linea melodica ma molto diversa nell’arrangiamento. La nuova versione colorizzata e ridoppiata trasmessa dalla Rai, a partire dagli anni Novanta, usa un brano intitolato La canzone di Zorro, che è la fedele versione italiana della sigla americana, cantata sulla base originale dal coro diretto da Pietro Carapellucci. Quella che però più il pubblico ha amato è la seconda, con una traduzione libera e audace, ma dalle parole capaci di accendere di adrenalina l’animo dei giovani spettatori.
Si passa dall’inglese: «Out of the night when the full moon is bright comes a horseman known as Zorro. This bold renegade carves a ‘Z’ with his blade A ‘Z’ that stands for Zorro Zorro, the Fox so cunning and free, Zorro, who makes the sign of the ‘Z’ He is polite, but the wicked take flight, when they catch the sight of Zorro. He’s friend of the weak, and the poor, and the meek, this very unique Senor Zorro. Zorro, the Fox so cunning and free, Zorro, who makes the sign of the ‘Z’ Zorro, Zorro, Zorro…» all’efficacissimo italiano: «Buio com’è non c’è luna né stella non lo vedi ma là c’è Zorro Nessuno mai mai l’ha visto negli occhi ma il suo segno sì, lo conoscono tutti! Zorro, Zorro, Zorro… di te chi è cattivo ha paura Zorro, Zorro, Zorro… la tua spada è giustizia sicura. Zorro, Zorro, Zorro… a cavallo di notte colpisci Zorro, Zorro, Zorro… è la Z la firma che lasci. Eccolo là, vedi solo un mantello non ti sbagli quello è Zorro Nessuno mai, mai l’ha visto negli occhi ma il suo segno sì, lo conoscono tutti! Zorro, Zorro, Zorro… di te chi è cattivo ha paura Zorro, Zorro, Zorro… la tua spada è gustizia sicura. Zorro, Zorro, Zorro… a cavallo di notte colpisci Zorro, Zorro, Zorro… è la Z la firma che lasci».
Ovvio che nell’ascoltare la fedele ma moscia traduzione del 1992 qualcuno si sia giustamente risentito. «Là sulla duna, quando brilla la luna spunta il nostro eroe Zorro che lascia il suo segno, una Z, a chi è indegno la Z che vuol dire Zorro. Zorro, Zorro… lui ha la vita segreta Zorro, Zorro… il segno suo è la Z. Zorro, Zorro, Zorro…».

MANGA
Degna di nota è sicuramente anche la colonna sonora de La leggenda di Zorro (Kaiketsu Zoro, «Il talentuoso Zorro»), un anime televisivo di cinquantadue episodi, realizzato nel 1994 per la regia di Katsumi Minoguchi, nel quale il mondo letterario di Johnston McCulley veniva trasfigurato in una versione manga, a cominciare dal poco latino Don Diego, ora un diciottenne biondino senza neanche i famosi baffi e con un cavallo bianco al posto del solito Tornado, iconicamente nero pece. In Italia a cantare la sigla è la regina dei cartoni animati, Cristina D’Avena, su testi di Carmelo «Ninni» Carucci e da Alessandra Valeri Manera, non dissimili da quelli conosciuti, soprattutto nel ritornello, dalla versione Disney con Guy Williams. Al ritmo di: «Zorro, la giustizia ha un amico in più, Zorro, ai cattivi ci pensi tu, Zorro, nei tuoi gesti c’è la gioventù. Zorro, i soprusi non ti van giù, Zorro, sei così, non ti stanchi mai, col tuo coraggio sai, ovunque arriverai vincerai. Evviva Zorro».
I ragazzini anni Novanta riscoprivano in salsa teriyaki il mito del giustiziere della California spagnola, uno di quei personaggi evergreen che non conoscono mai crisi, protagonisti da decenni dei carnevali di tutto il mondo. Il successo di questa serie giapponese generò altri prodotti analoghi come il cartone del 1994 Evviva Zorro, questa volta statunitense, o il francese, del 2008, Zorro-La leggenda (Zorro the Chronicles), ispirato a sua volta a The new adventures of Zorro del 1981, serie animata a stelle e strisce, per alcuni la migliore mai realizzata, ma da noi poco conosciuta. Nessuna però di queste incarnazioni disegnate poteva vantare una sigla in grado di pareggiare con quella ancora mitizzata de La spada di Zorro.
Quale migliore colonna sonora però ha accompagnato le avventure cinematografiche del nero eroe dalla Z facile? Da segnare senza dubbio l’efficace soundtrack de La leggenda di Zorro, seguito del 2005 de La maschera di Zorro, blockbuster di fine anni Novanta con Antonio Banderas e Catherine Zeta-Jones. Se la pellicola non bissava i fasti artistici del predecessore, la parte musicale era forse anche superiore, sempre comunque ad opera di James Horner, autore premio Oscar per Titanic. Le tracce presentavano una certa variatio con l’alternarsi di temi più struggenti e altri più ritmati, vicini all’anima estremamente mélo del film. La ricchezza espressiva di Horner riusciva nell’intento, non facile, di amalgamare chitarre, trombe e nacchere per comporre una colonna sonora sotto il segno del ritmo e della freschezza, memorabile e capace di far respirare l’aria di rivoluzione anarchica delle novelle di Johnston McCulley.
Il titolo di migliore soundtrack però spetta allo Zorro di Duccio Tessari del 1974 con un Alain Delon in forma smagliante. A comporre le partiture Guido & Maurizio De Angelis, il duo che ha avuto la massima fama mondiale con il gruppo Oliver Onions in cult movie come Sandokan di Sergio Sollima e Lo chiamavano Bulldozer di Michele Lupo. La loro colonna sonora di Zorro alterna momenti disimpegnati ad altri più scuri e intensi. I primi prendono le mosse da due performance canore: la buffa e un po’ infantile Zorro Is Back e la rilassante To You My Chica, languidamente adagiata su ritmiche sincopate di sapore caraibico. I secondi si caratterizzano per le esibizioni solistiche della chitarra flamenca, capace di riportarci alle atmosfere latineggianti della vicenda. Un altro aspetto accuratamente sottolineato dal duo è quello relativo alle scene d’azione: i brani Ortensia’s Capture, Huerta e Huerta’s Chase accompagnano alcune delle sequenze più concitate della pellicola con una drammatica e travolgente melodia orchestrale affiancata da un denso strumming acustico, dagli abbellimenti del flauto e, occasionalmente, da scale eseguite sull’infuocata tastiera di una chitarra ancora stregata dal duende flamenco. Un album che, ad ascoltarlo ancora oggi, sa emozionare.

A TEATRO
Di musical ispirati alle vicende di Zorro, soprattutto off-Broadway, ce ne sono moltissimi, dalla qualità più varia e sparsi per il mondo. Qui ci concentreremo però sui migliori, quelli che hanno saputo riportare sul palcoscenico l’audacia dell’eroe mascherato e la sua potenza spettacolare.
Uno dei più grandi successi è stato senza dubbio Zorro del 2008, un’opera teatrale inglese con la musica dei Gipsy Kings e di John Cameron. Ispirato sia a La maschera di Zorro del 1998 che alla biografia immaginaria del personaggio, Zorro-L’inizio della leggenda, scritta nel 2005 da Isabelle Allende, in tutto il mondo lo spettacolo ha incassato più di 70 milioni di dollari e ha ottenuto numerosi premi e nomination, tra cui il prestigioso Laurence Olivier Award, per una delle sue attrici, Lesli Margherita, nei panni di Inez la regina zingara che fa innamorare Don Diego/Zorro. La scrittrice cilena, che figura anche come produttrice, ha dichiarato: «Zorro è la combinazione di Robin Hood e Peter Pan, più la sete di giustizia di Che Guevara. Se potessi rinascere lo farei nei suoi panni».
Michael Billington del Guardian ha commentato: «Lo show potrebbe non essere uno spettacolo per palati fini ma è molto divertente e, grazie ai suoi ritmi ispanici, porta aria fresca nel mondo sfinito dei musical del West End». Ha anche osservato, «Zorro è un grandissimo teatro popolare come non se ne vedeva da tempo». Charles Spencer del Daily Telegraph ha descritto Zorro come: «Un musical follemente divertente». Nella colonna sonora fanno bella mostra alcuni successi dei Gipsy King come Bamboleo, Baila Me e Djobi djoba generando un’ucronia acustica tra ritmi moderni e ambientazione d’inizio secolo scorso, anche questa una forza dello spettacolo.
W Zorro invece è un musical totalmente italiano, andato in scena tra il 2012 e il 2013, con un buon riscontro di pubblico e critica, anche se non totalmente esaltante. A firmare lo spettacolo sono Stefano D’Orazio – voce e batterista dei Pooh, coadiuvato per le musiche da Roby Facchinetti, altro componente del celebre gruppo – già autori delle rielaborazioni a teatro di Pinocchio e Aladin. La storia è elementare: dopo una lunga assenza Diego (Zorro) torna in Messico per la morte dell’anziano padre William, nobile idealista, da sempre dalla parte dei peones. La sua terra è oppressa dal regime dittatoriale; nella California spagnola ormai il divario fra miseria e nobiltà è incolmabile ed è imminente una nuova rivoluzione. Diego capisce presto che il misterioso personaggio, abile di spada e di parola, apparso spesso in passato al fianco dei peones per perorare la loro causa, che il popolo chiamava El Zorro (la volpe) era proprio il suo amato padre. D’ora in poi decide di indossarne la maschera per portare avanti la causa del popolo oppresso e per dare giustizia alla bella Cecilia (adottata in tenera età dal padre di Diego) la cui famiglia era stata sterminata dai tiranni. Michel Altieri interpreta Zorro, sfoggiando una valida voce così come efficace è anche Alberta Izzo nelle vesti della sorellastra. Malgrado qualche battuta semplicistica e una musica, pur orecchiabile, non molto originale, lo spettacolo è un prodotto gradevole, equilibrato nel rapporto tra musica e testi, senza cadute di ritmo. Racconta lo stesso D’Orazio: «Da bambino Zorro era il mio eroe, coraggioso, forte e intraprendente, ma forse me lo ero un po’ dimenticato. Complice un ennesimo trasloco, ho ritrovato in un baule il costume che aveva accompagnato i carnevali della mia infanzia, quel piccolo Zorro mi è saltato addosso quasi riconoscendomi e mi è subito venuta voglia di costruire, intorno a quella sorpresa una nuova avventura. E così è nato W Zorro».

HOLLYWOOD
In queste settimane poi è ritornata in televisione la serie evento d’animazione Adrian, diretta e ideata da Adriano Celentano, un delirio che ha vissuto l’abbandono da parte del pubblico e la critica feroce dei giornali, un po’ come accadeva in quel 1985 che segnò la fine del Molleggiato trionfatore del box office con il delirante ma unico Joan Lui. Fa capolino nel cartone animato un personaggio chiamato La Volpe, la traduzione italiana appunto di Zorro, che, mascherato, salva belle ragazze in pericolo lanciandosi, come in un musical, in tanghi appassionati che uniscono il ballo con mortali mosse di arti marziali. Smargiassissima la frase in rima «Triste il mio cuore nel veder che voi così incazzati, da qui a poco sarete mezzi insanguinati» pronunciata prima di farsi giustizia contro una gang di stupratori, in quella strana dimensione di pastiche celentanesco che unisce V per vendetta di Alan Moore con Zorro.
Attualmente è in preparazione un nuovo progetto a Hollywood sul personaggio con Gael García Bernal, e Quentin Tarantino sta pensando a un crossover Django/Zorro. Secondo alcuni siti oltreoceano il cineasta si starebbe occupando dello script del film assieme a Jerrod Carmichael muovendo dall’omonima serie a fumetti scritta dallo stesso Tarantino assieme a Matt Wagner alcuni anni fa e pubblicata da Dynamite Entertainment e Dc Comics come sequel ideale di Django Unchained, il western con Jamie Foxx e Leonardo di Caprio.
Certo è che Zorro è uno di quei personaggi che non conosce davvero crisi, dimenticato ciclicamente a favore di nuovi eroi , ma che, presto o tardi, sappiamo tornerà di moda, ora, tra altri cento anni, grazie a musical, libri e film di grande successo. D’altronde la Z, la firma che lascia, è quella della ribellione, dell’anarchia e della giustizia, temi che infiammano l’animo delle folle e che non possono essere ignorati.