È arduo immaginare notte più buia di quella che precede l’incombente consultazione elettorale. Tanto più che nulla autorizza a pensare che, contate le schede, sia apra qualche chiarore.

Siamo in piena notte, segnata da una campagna elettorale orribile.

Le precedenti non sono state granché, ma questa è davvero pessima: tutta dominata da questioni personali, da accuse d’immoralità, da risse sgangherate e parole d’odio.

Lo scontro, da tempo avvelenato, tra destra e sinistra, è divenuto spietato pure in seno al centrosinistra. Non era mai successo. Quando Veltroni e Bertinotti nel 2008 decisero di separare i loro destini e di consegnare il paese a Berlusconi la polemica fu aspra, all’insegna del vuoto utile, ma senza i toni offensivi che hanno contrapposto il Pd, i fuorusciti di Liberi & Uguali e Potere al popolo. Inutile è ricordare chi abbia alzato i toni, perché ciascuno può giudicarlo da sé.

La legge elettorale è pessima, frutto di una scoperta e spregiudicata combine tra Pd, Forza Italia e Lega per danneggiare il grande incomodo, cioè 5 Stelle.

È nondimeno da sciocchi gettare sulla legge elettorale la colpa della composizione delle liste: della compagnia di ventura assemblata dal Pd e del troppo modesto respiro delle candidature di L&U. Si possono forse capire – non scusare – le scelte di questi ultimi in ragione della ristrettezza dei tempi.

Ma è innegabile che la preoccupazione fondamentale del Pd sia stata di portare in parlamento un’armata di fedelissimi, o di complici, confessando apertamente la propria insicurezza e l’assenza di un disegno politico in grado di accomunare candidati, eletti e elettori. Frutto di scelte che si potevano fare altrimenti, le liste sono ulteriore conferma del decadimento della vita pubblica

Né è il caso di prendersela, come ha fatto Prodi, con la legge elettorale perché non garantisce la costituzione di una maggioranza. È trent’anni che politici, osservatori e accademici ritengono legittimo, in nome della governabilità, forzare la volontà degli elettori.

Non fosse che gli effetti di questa teoria sono da trent’anni disastrosi. Insignificanti sono stati i benefici del cosiddetto maggioritario in termini di stabilità, alla luce della rissosità delle maggioranze di governo. E inesistenti sono stati i benefici in termini di azione di governo, viste le condizioni in cui versa il paese, che non si caverà di sicuro dai guai con un incremento del Pil dell’1,5 per cento.

Clamorosamente disattesa è stata infine la promessa di una classe politica più competente e più morale. Anzi: l’immoralità e il dilettantismo dilagano senza alcun freno. Che non sia ora di cambiar strada? Un paese complesso e diviso non lo si può governare inventandosi una maggioranza artificiosa e ciò suggerisce come proprio il proporzionale possa essere d’aiuto. Il proporzionale in vigore è a dir poco osceno.

Ma si possono immaginare leggi proporzionali ragionevoli, che consentano alle articolazioni del paese di esprimersi, senza dispersioni eccessive. E lasciando alle forze politiche la responsabilità di ricomporre una sintesi.

Sarebbe d’altro canto il caso che le forze politiche e i loro intellettuali di servizio invece di demonizzarlo s’interrogassero su cos’ha fatto del Movimento 5 Stelle la prima forza politica in gara. Possiamo stigmatizzarne la rozzezza, il moralismo d’accatto, l’incerta affidabilità democratica, peraltro condivisa con altri protagonisti della contesa politica.

Ma l’analisi dei dati elettorali parla chiaro. Né i 5 Stelle sono una calamità naturale, né il terzo più o meno dei votanti che ne ha fatto il primo partito italiano sono degli imbecilli.

Sono elettori frastornati, sofferenti, indignati, in buona parte provenienti dal centrosinistra, che meritano di essere trattati con rispetto, come andrebbe trattata con rispetto l’elevata percentuale di astenuti.

Gridare al lupo al lupo per la minaccia populista può essere un modo per ricattare gli elettori, che difficilmente ci cascheranno. Occorrerebbe piuttosto riflettere. Qualcuno, a dire il vero, ci sta provando e sta ripensando alcune scelte che ha fatto in passato.

I programmi dei concorrenti non sono gli stessi. Ma serve un ripensamento ben più ampio. Che investa i programmi politici, il personale politico e il modo in cui si trattano gli elettori.