Il referendum consultivo sul finanziamento comunale alle scuole paritarie private che si terrà a Bologna domenica 26 maggio dalle 8 alle 22 è una battaglia politica di prima grandezza tra la visione solidaristica della scuola pubblica e quella individualista, ispirata alla sussidiarietà neoliberale, sostenuta dalla Chiesa Cattolica e dai privati.

Lo hanno compreso i 400 cittadini che hanno aderito al comitato «articolo 33», promotore del referendum, in rappresentanza di quindici tra sindacati (Flc-Cgil, Fiom, Cobas, Usb e Cub) e associazioni come l’assemblea dei genitori e degli insegnanti della provincia di Bologna o il comitato dei genitori esclusi. Presidente onorario è Stefano Rodotà, il punto di riferimento sul campo è Isabella Girelli, mamma di una dei 423 bambini esclusi dalla scuola pubblica.

Vincendo il referendum, il comitato avrà un argomento in più per spingere il riottoso sindaco Virginio Merola a destinare 1,2 milioni di euro, versati nelle casse delle scuole paritarie private, alle scuole statali e comunali frequentate da 8800 bambini. Questi fondi potrebbero garantire 330 posti in più per i bambini esclusi dalle materne e soddisfare la richiesta di chi è ancora in lista d’attesa.

Questa battaglia campale non è sfuggita nemmeno ai cittadini che hanno sostenuto il referendum, indetto il 9 gennaio scorso, con 13 mila firme, il 4,3% di un corpo elettorale composto da 300 mila persone. Per presentare un quesito erano necessarie solo 9 mila firme. È come se a livello nazionale il comitato «articolo 33» avesse raccolto più di 2 milioni di firme. In proporzione, è una cifra molto vicina alla valanga dei voti per il referendum sull’acqua del 12 e 13 giugno 2011.

Al comune di Bologna, invece, fanno finta di niente. Ancora ieri mattina sul sito istituzionale non c’era uno straccio di notizia sul referendum. «Lo hanno interpretato come un attacco al loro potere – afferma Bruno Moretto, segretario bolognese del comitato «scuola e costituzione» – Il sindaco Merola ha detto che nel suo programma c’erano le convenzioni con le scuole private, ed è arrivato a dire che anche nel caso in cui i bolognesi voteranno contro questo suo progetto, lui continuerà a finanziare le scuole paritarie». Il sindaco, e la sua maggioranza, vivono con disagio un referendum che ha scatenato polemiche tra gli intellettuali e gli scrittori bolognesi come i Wu Ming. Nonostante il comitato promotore abbia richiesto di svolgerlo in tre giorni, com’è già accaduto in altre occasioni, Merola ha concesso un giorno solo, restringendo il numero dei seggi a 199 contro i 447 delle elezioni politiche. Questa insofferenza è probabilmente dovuta al fatto che a Bologna è stata lanciata una sfida contro uno dei patti costitutivi del centro-sinistra.

L’idea, cioè, che la scuola pubblica possa essere integrata in un unico sistema con quella privata, come stabilito dalla legge 62/2000 sulla parità. Anche su questo presupposto si basa l’accordo tra «cattolici» e ex «comunisti» che hanno dato vita al Pd nella città dell’ex padre fondatore Romano Prodi, lo stesso che ha messo in campo e oggi sostiene il governo Letta. «Questo patto – aggiunge Moretto – ha creato a Bologna un sistema scolastico che è fallito. A settembre sono rimasti in lista d’attesa 423 bambini mentre si sono liberati 140 posti nelle private. Questo significa che i genitori hanno rifiutato di iscrivere i figli». I motivi sono due: queste persone non possono permettersi di pagare rette mensili che vanno da 200 a mille euro. Il secondo è che le scuole sono quasi tutte cattoliche. Insomma, a Bologna ci sono genitori che non la pensano come il Cardinal Bagnasco.

Al prelato risponde Giorgio Tassinari, docente all’università di Bologna nonché esponente del «comitato articolo 33»: «Mi sembra una reazione scontata – afferma – non mi stupisce che l’apparato ecclesiastico intervenga per difendere le scuole che in qualche misura fanno capo alla chiesa cattolica.

Ricordo che l’articolo 33 bisogna leggerlo sino in fondo, diversamente da quanto fa lui. Non è accettabile un baratto tra diritti costituzionalmente garantiti e aspetti economici. La dizione «senza oneri per lo Stato» va considerata alla luce di tutte le provvidenze che la repubblica italiana assicura alla scuola cattolica».