Le analisi inconcludenti sulla crisi di governo oscurano la questione di fondo, che non è la crisi politica né quella sociale, ma la crisi climatica e ambientale ogni giorno più grave. Per molti Salvini è ormai un leader «sgonfiato» e così è; ma niente dice che sia per sempre. Potrebbe rigonfiarsi, o essere rigonfiato, in poco tempo: la storia ci offre numerosi esempi di vicende del genere. Il vero problema non è lui ma i suoi fans, cresciuti a milioni nei mesi della sua egemonia politica e mediatica con una trasformazione antropologica di buona parte della popolazione difficilmente reversibile.

Salvini è un negazionista climatico, come Trump, Bolsonero, Putin e molti altri capi di Governo che si dichiarano apertamente tali. Ma i negazionisti più pericolosi sono quelli nascosti: quelli per cui la crisi climatica c’è, ma tutto – il nostro modo di vivere e produrre – può continuare più o meno come prima, perché a tutti i guasti si troverà un rimedio che eviterà di sottoporci a grandi stress. Il problema è che i cambiamenti climatici che avanzano non mettono in crisi né i negazionisti, né quelli nascosti; anzi, ne rafforzano le politiche. Perché nel loro arsenale ci sono già tre false risposte pronte.

La prima è portare a termine il saccheggio dell’ambiente con politiche estrattiviste, con grandi progetti infrastrutturali devastanti consumando risorse fossili fino all’ultima goccia per tenere in piedi un’economia ormai in stagnazione secolare. Un secolo e mezzo di elucubrazioni per decidere se «la caduta tendenziale del saggio di profitto» avrebbe portato il capitalismo all’estinzione o a una crisi rivoluzionaria sono stati azzerati: a meno di una svolta radicale che sventi l’imminente catastrofe, a distruggere il capitalismo insieme alla vivibilità del pianeta e a miliardi di vite umane sarà la crisi climatica che lui stesso ha provocato.

La seconda risposta è la guerra ai migranti, tutti o quasi profughi ambientali generati dal saccheggio del pianeta. Per ora le vittime di questa guerra sono migliaia di profughi respinti ai confini di mare e di terra di Europa, Usa o Australia e chi è solidale con loro. Ma è solo un «allenamento» per predisporci ad accettare la guerra come unico mezzo per affrontare le centinaia di milioni di profughi che la crisi climatica finirà per produrre. La terza risposta è l’instaurazione di un regime di polizia dentro le spoglie di ordinamenti formalmente democratici, per affrontare con nuove leggi e con la forza le lotte e le rivolte che la crisi climatica e quella economica, che non mancherà di accompagnarla, creeranno nelle fu «cittadelle del benessere».

Nessuna di queste risposte – e meno che mai tutte e tre insieme – ci salverà dalla catastrofe; ma, in mancanza di una vera alternativa, esse riescono a spingere milioni di persone ad accettarle o condividerle. Ma un’alternativa c’è? E se c’è, è stata messa in campo? E se no, che cosa si aspetta a farlo?

L’alternativa è quella per cui si battono tutti coloro che prendono sul serio, e non per finta, la crisi climatica: gli scienziati del clima, il movimento dei giovani che vedono distrutto il loro futuro (Fridays for future), la rete di Extinction Rebellion, decisa a usare ogni mezzo non violento per fermare la corsa verso il baratro, i popoli indigeni che difendono le loro terre e i movimenti contadini che difendono l’integrità dei suoli. Ma i passi da compiere sono ancora, per molti di noi, inconcepibili. Innanzitutto, si tratta di abbandonare nel giro di pochi anni cose che consideriamo naturali come auto privata, aria condizionata, viaggi aerei, vacanze esotiche, crociere, grandi opere, agricoltura chimica, pasti a base di carne, e tante altre cose. Ce ne sono sì tante altre che le possono sostituire con poco sacrificio e grande vantaggio.

Ma c’è da battere l’incredulità di chi sente dire per la prima queste cose, a cui i nostri governi avrebbero dovuto porre mano da anni, invece di inseguire il mito insensato di una crescita infinita. Confutare le illusioni di chi conta che de la si possa cavare con poco è oggi il compito più urgente e difficile. I migranti vanno accolti tutti; è l’unica alternativa a una guerra di sterminio permanente. Vanno inseriti nelle nostre comunità con un lavoro nelle tante opere necessarie per combattere la crisi climatica. Se l’Europa finanziasse i progetti di conversione ecologica in base al numero di migranti impiegati avremmo una gara per accaparrarseli invece dell’attuale corsa per respingerli.

Infine, la democrazia rappresentativa non è più un baluardo contro le derive autoritarie. Per prevenire un ritorno al fascismo veicolato dal razzismo contro i migranti ormai dilagante ci vuole una grande partecipazione popolare al governo dei progetti di conversione ecologica. È questo che bisogna proporre a un nuovo governo. Qualcuno si candida a farlo?