I risultati delle elezioni di domenica scorsa in Andalucía, la prima delle tre scadenze elettorali spagnole, confermano che la maggioranza del paese vuole farla finita con il governo di destra e con il sistema bipartitico di alternanza fra simili.

Ciò che è uscito dalle urne non mette in discussione la voglia di cambiare degli spagnoli, ma la radicalità e la profondità di questo cambiamento: hanno vinto i socialisti del Psoe, crolla, sebbene la ripresa economica, il Partido Popular di Rajoy, e irrompono sulla scena politica Podemos, ridimensionando Izquierda Unida, e Ciudadanos. È senza dubbio un voto che – qualora replicato alle future elezioni politiche – aprirebbe la porta a disastrose larghe intese, fra socialisti e popolari. Ma il voto andaluso, regione socialista da sempre, anche se significativo, non rappresenta appieno quello nazionale, dove tutti i sondaggi continuano a dare Podemos come primo partito, con buone possibilità quindi, come è avvenuto in Grecia con Syriza, che prevalga il cambiamento più radicale.

Al di là dei sondaggi, il consenso crescente a Podemos deriva dal suo diffuso radicamento nel movimento degli indignados, che in questi quattro anni ha innescato conflitti sociali e culturali, modificando i rapporti di forza e le idee correnti della società. Non c’è solo l’indignazione per la corruzione del sistema politico, ci si ribella soprattutto contro la gestione liberista della crisi e le sue conseguenze sociali. L’impatto sul sistema politico di questo movimento va ben al di là della nascita di Podemos. Alla guida del processo di rinnovamento di Izquierda Unida, oggi c’è un giovane economista trentenne che viene dalle stesse piazze occupate del 15M e che vuole favorire una convergenza con Podemos. Senza quella esplosione di rabbia sociale difficilmente sarebbe nata e sarebbe cresciuta una formazione come Ciudadanos o lo stesso tentativo di rinnovamento del Psoe, pur limitato al solo ricambio generazionale.

Soprattutto quel movimento continua a seminare nella società spagnola. I volti di ragazze e ragazzi che nel 2011 occupavano le strade e le piazze di tutte le città, si sono rivisti innanzitutto fra i cortei di donne che hanno lottato e vinto contro la decisione più reazionaria del governo Rajoy: la messa in discussione della legge spagnola sull’aborto e del diritto all’autodeterminazione delle donne.

Non solo, si sono ritrovati nei presidi per impedire gli sfratti, fra gli insegnanti e gli studenti che difendevano la scuola pubblica, nelle lotte per il diritto all’assistenza sanitaria per tutti, anche per gli immigrati, nelle manifestazioni a favore delle energie rinnovabili e contro le trivellazioni petrolifere e in quelle per contrastare la repressione della legge mordaza (bavaglio) con la quale si può, per un picchetto non violento, finire tre anni e un giorno in carcere.

La possibilità che Podemos conquisti il governo della Spagna è alimentata proprio da questi processi sociali. Ovviamente non tutto è scontato e molti sono ancora gli ostacoli per trasformare le possibilità in realtà. Il primo ostacolo viene dall’ingiusta legge elettorale spagnola che favorisce comunque il bipartitismo, garantendo una sovrarappresentanza del Pp e del Psoe a scapito delle formazioni minori: in Andalucía per ogni deputato del Psoe ci sono voluti 27.500 voti, per Ciudadanos e Podemos circa 36.000, per Izquierda Unida ben 50.122. Non è solo un ostacolo tecnico, ma al contrario politico perché per conquistare il governo saranno necessari accordi fra forze diverse. L’esperienza insegna che decidere dopo le elezioni con chi allearsi porta a governi rissosi e fallimenti disastrosi.

Ha ragione Podemos a rifiutare alleanze sulla base di sommatorie di sigle, ma se si vuole aggirare l’ostacolo costituito dal sistema elettorale e costruire un credibile schieramento di governo, è auspicabile che si lavori da subito per costruire confluenze programmatiche a tutto campo, dalla nuova Iu di Garzón ad Equo, che raccoglie le forze ecologiste, da Ciudadanos, allo stesso Psoe.

Provare da subito ad individuare alcuni punti che rendono chiara l’idea della Spagna, dentro un’altra Europa, che si vuole costruire. Convergere per indirizzare il paese verso un nuovo modello energetico rinnovabile, chiave per contrastare i cambiamenti climatici, produrre una diffusa innovazione tecnologica e mettere a lavorare i troppi disoccupati. Per chiudere con le politiche di austerità e rilanciare le prestazioni fondamentali dello stato sociale basandosi sui principi di solidarietà e cittadinanza universale. Per restituire alle donne e agli uomini spagnoli i diritti continuamente messi in discussione dalle politiche neoliberiste impregnate di individualismo e consumismo sfrenato.