Nelle acque marine superficiali italiane si riscontra una quantità di microplastica comparabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico. Questi alcuni dei risultati principali dei campionamenti nelle nostre acque realizzati durante il tour della nave ammiraglia di Greenpeace, Rainbow Warrior, «Meno plastica, più Mediterraneo», che la scorsa estate ha visitato le coste del Mediterraneo.

La ricerca è stata portata avanti in collaborazione con l’Istituto di Scienze Marine del Cnr di Genova (Ismar), l’Università Politecnica delle Marche (Univpm). La maggior parte delle plastiche ritrovate è fatta di polietilene, ovvero il polimero con cui viene prodotta la maggior parte del packaging e i prodotti di plastica usa e getta.

Le plastiche sono polimeri sintetici la cui produzione è esponenzialmente aumentata negli ultimi 50 anni: solo nel 2015 sono stati prodotti 300 milioni di tonnellate e ogni anno in mare ne finiscono circa 8 milioni di tonnellate.

I risultati di questo studio confermano l’enorme presenza anche nel Mediterraneo di microplastiche; un bacino semi-chiuso fortemente antropizzato, con un limitato riciclo d’acqua che ne consente l’accumulo.
Le microplastiche provengono da diverse fonti: quelle primarie derivano principalmente da prodotti per l’igiene personale (cosmetici, creme, dentifrici ecc.) o sono le materie prime come pellet o polveri di plastica utilizzate per la produzione di materiali plastici. Le microplastiche secondarie derivano invece dalla frammentazione e decomposizione di materiali plastici di dimensioni più grandi. I frammenti si accumulano anche in aree protette o in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento, come hanno evidenziato i campionamenti che hanno preso in esame entrambe le tipologie di aree.

Per avere un’idea dell’ampiezza del fenomeno, immaginiamo di riempire due piscine olimpioniche con l’acqua delle Tremiti e l’acqua di Portici: nella prima ci troveremmo a nuotare in mezzo a 5.500 pezzi e nella seconda in mezzo a 8.900 pezzi di plastica. Stiamo letteralmente soffocando sotto una montagna di plastica e microplastica. «Per invertire questo drammatico trend bisogna intervenire alla fonte, ovvero la produzione. Il riciclo non è la soluzione e sono le aziende responsabili che devono farsi carico del problema, partendo dall’eliminazione della plastica usa e getta» dichiara Serena Maso, campagna mare di Greenpeace Italia.