C’è una frase di Hélder Câmara, arcivescovo brasiliano, che spiega bene il pensiero di un altro arcivescovo, Carlo Maria Martini «quando do da mangiare a un povero, mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora mi chiamano comunista». Frase che Ermanno Olmi, in collaborazione con il giornalista Marco Garzonio (che per il Corriere della sera ha seguito e raccontato Martini dal suo arrivo a Milano nel 1979, sino alla morte nel 2012) ha voluto citare nel suo intenso ritratto del cardinale vedete, sono uno di voi (presentato ieri sera nel Duomo di Milano e in uscita a marzo). Olmi non è e non vuole essere un biografo che inanella storie e aneddoti, scava in profondità, permette all’uomo Martini di lievitare, come il pane contadino, lo inquadra «come un albero cresciuto fuori dal giardino, dove l’ordine gerarchico non è valutato in termini economici, ma di funzione».

Raccogliendo interviste, spezzoni, fotografie, materiali di repertorio e immagini scelte con cura, Olmi accompagna il racconto con la sua stessa voce «per parlare con onestà» e offre il percorso di un personaggio singolare, torinese di origini benestanti, deciso a diventare sacerdote sin da bambino, poi gesuita, teologo, studioso della Bibbia, convinto assertore del dialogo tra le religioni. Un grande intellettuale della chiesa chiamato, suo malgrado, da Woytila a diventare arcivescovo di Milano nel 1979. Città difficile, attraversata da tutte le contraddizioni dell’epoca e Martini in qualche modo si trasforma, capisce che «essere sui passi dell’uomo è più importante di ogni libro».

11VIS2vedete, sono uno di voi - Ermanno e Fabio Olmi

Un episcopato sofferto e vicino ai sofferenti. Con una prima spiazzante lettera pastorale, «la dimensione contemplativa della vita», la lectio divina in Duomo, le veglie in piazza coi lavoratori, le frequenti visite in carcere. Le gerarchie spesso non condividono le sue scelte come quella di battezzare i gemelli di due brigatisti nati in carcere, come il rifiuto della logica del profitto come motore di civiltà e progresso, ma anche la costituzione del «fondo di solidarietà a favore delle famiglie bisognose dei licenziati e dei senza occupazione» (1982), anzi qualcuno ipotizza un dualismo tra Woytila e Martini che viene posto in antagonismo al papa adombrandone una possibile successione.

Il venerdì santo dell’84 Martini celebra una processione penitenziale pregando per sconfiggere a Milano le tre pesti del momento «la violenza, la solitudine, la corruzione», passano solo due mesi e in arcivescovado vengono consegnati dei borsoni pieni di armi brigatiste. Arriva anche a istituire una «cattedra dei non credenti», ossia una serie di incontri sulle «domande della fede», un confronto «strano e spericolato» tra pensanti e non pensanti. Libertà, giustizia, democrazia, temi cari anche a Olmi («oggi la democrazia è diventata un mascherone») che riesce anche a citare l’isola di Chio, dove le persone modeste che lui da sempre ama e stima hanno inventato la democrazia che però «non deve essere vissuta passivamente».

Ormai Martini ha maturato le sue scelte, secondo lui la Chiesa deve rinnovarsi, arriva all’affermazione che «è indietro di duecento anni». Non amava tutta l’enfasi e la prosopopea dell’ostentazione. Era stato tra i primi a intuire come la santificazione del profitto portasse con sé il germe della corruzione e curiosamente fu proprio a Milano che esplose fragorosamente il bubbone Tangentopoli. «Per inseguire la ricchezza siamo diventati poveri» ricorda Olmi. Olmi che accarezza con sguardo rispettoso il suo protagonista, lo condivide prima ancora che raccontarlo, lo mostra quando dopo essersi dimesso da Arcivescovo di Milano va a Gerusalemme, città di devastanti contraddizioni ma anche di grande preghiera «il venerdì i musulmani, il sabato gli ebrei, la domenica i cristiani». E su tutto ricorre una costante, quella stanzetta dell’Alosianum di Gallarate, dove Martini è spirato a 85 anni, e dove aveva svolto il suo noviziato 17enne.

Nel filmato non c’è, e non poteva esserci, ma Garzonio e Olmi hanno voluto ricordare come papa Francesco alla sua prima apparizione abbia salutato i romani semplicemente con un «buonasera». Un segnale di vicinanza con la semplicità di Martini, che al suo arrivo a Milano non aveva voluto celebrazioni. Una vicinanza che ha trovato altri punti di contatto, non ultimo il via libera per la beatificazione di Câmara.