Un uomo, una donna, un regista e la sua attrice. Lui le parla della fine della pellicola, e di cosa ha cambiato e cosa cambierà ancora il digitale, dei suoi film e di come ama girare. Lei lo ascolta, sorride, lo bacia. Li vediamo di spalle, in automobile. A casa di lui provano il film, lei lo interroga: c’è bisogno che io sia nuda in questa scena? Lui lei dice di sì, lei continua a provare mimando la parte. Lui la riprende, le chiede più veridicità, lei si spazzola i capelli con foga per dire la sua inquietudine. Lui la ferma: è banale. Poi fanno l’amore, e cosa c’è di più «banale» della storia tra attrice protagonista e regista sul set ?

È un film sul cinema, Quando la notte cade su Bucarest o metabolismo, il nuovo film di Corneliu Porumboiu (12/08 a est di Bucarest; Police, Adjective), e lo dichiara dalla prima inquadratura, con la scelta del piano sequenza, e dalla storia o meglio dalla trama di storie (possibili) che dispiega, e che si possono riassumere in una sola, un uomo, una donna, appunto, boy meets girl con le infinite variazioni potenziate dalla natura dei due personaggi, di per sè produttori di finzione, un regista nei suoi film e l’attrice dando vita ai differenti personaggi.

Costruito sui due protagonisti, Bogdan Diumitrache (visto da poco sui nostri schermi in Il caso Kerenes di Calin Peter Netzer) e Diana Avramut, il film percorre gli artifici del narrare, il romanzesco e la vita che scivolano l’uno nell’altro inevitabilmente: ci sono le prove per le riprese e c’è la reciproca conoscenza dell’incontro amoroso, il «mettersi in scena» per l’altro con le parole della propria esperienza, lei che ha imparato a mangiare con le bacchette cinesi in Francia, dove ha vissuto due anni, e col ragazzo di allora andava sempre al ristorante cinese. Lui che inventa scuse con la produzione, per rimandare le riprese, e utilizzando accorgimenti dal miglior actor studio riesce a ottenere l’effetto sofferenza al suo massimo.

La clandestinità del loro amore, le telefonate che lei riceve e le menzogne. Le fantasie: «Mi sarebbe piaciuto lavorare in Francia ma forse non sembro abbastanza francese», le perplessità. E intanto i due si si spostano per la città, in macchina, nell’appartamento di lui, nell’hotel di lei, sullo sfondo cogliamo frammenti di città che corrono via veloci, risucchiati dalla conversazione ininterrotta tra i due …Porombuiu sembra qui voler mettere alla prova in modo «scoperto» quel lavoro sulla messinscena che è un po’ il centro dei suoi film, una sorta di allenamento in tensione continuo, i cui limiti si forzano nel fare dei suoi personaggi.

L’effetto è però un po’ programmatico, e il «gioco» tra esterni e interni, vero/falso, casualità e controllo, fin troppo «controllato» al punto da negare quel richiamo all’imprevedibile che invece il film sembra continuamente evocare. Il film di Porumboiu, coproduzione Romania/Francia (ma i francesi sembrano avere opzionato una buona parte della nuova onda rumena), è tra i titoli del concorso, aperto dal ritorno dietro alla macchina da presa di Joaquim Pinto con E Agora?Lembra-me, la prima persona dell’autofinzione con cui il regista e produttore portoghese (tra gli altri di Joao Cesar Monteiro) torna sullo schermo dopo molti anni (ne riparleremo). Venti film, per la giuria presieduta da Lav Diaz (con Valèrie Donzelli, Matthias Bruner, Yorgos Lanthimos, Juan de Dios Larrein), per ora molto diversi tra di loro, senza un «motivo» comune apparente.