Dai tempi delle atmosfere malinconiche ed eteree del loro album d’esordio, Parachutes, sono trascorsi oltre vent’anni, e i quattro ragazzotti londinesi che frequentavano lo stesso college hanno visto trasformare radicalmente esistenze e poi destini musicali. Ora Chris Martin & Co veleggiano – almeno prima del Covid – fra tour mondiali in stadi ovunque sold out e album pronti a scalare le classifiche. Music of the Spheres è il loro nono progetto e Martin (scherzosamente?) ha affermato che «al dodicesimo smetteremo, è il numero perfetto». Intanto gli orizzonti si sono modificati: l’acustica dei primi lavori ha lasciato spazio a un’elettronica ipertecnologica che non dimentica mai la costruzione della perfetta pop song. Nei dodici pezzi che compongono l’album, poi, viaggiano sul sicuro con un produttore, lo svedese Max Martin, specialista nel rendere mainstream e appetibile per le platee di tutto il mondo, qualsiasi canzone: nel suo curriculum si passa dalla giovanissima Britney Spears di One More time alla dance cupa di The Weeknd in Blinding lights.

INSOMMA, danza gioia e divertimento – forse come per reazione al buio lockdown della pandemia – per lanciare una sorta di messaggio di rinascita (o resistenza?) universale e uno sguardo su altri possibili pianeti lontani. Così il nuovo progetto del gruppo si gioca sul filo dell’universo sci fi. E non a caso «Everyone is an alien somewhere», recitava la frase del post condiviso sui social a luglio per lanciare l’album. Disco pop – qua e là un po’ troppo appiccicoso, va detto – con ospiti adeguati all’idea principe di sbancare le hit, far strage di cuori e diventare la colonna sonora autunno-inverno di Spotify. La voce di Selena Gomez si insinua eterea nella ballata Let somebody go, ma è la presenza dei coreani BTS in My Universe ad aver consentito ai Coldplay di riconquistare la vetta della top 100 americana tredici anni dopo l’exploit di Viva la vida. Potenza dei featuring…

QUALCHE sperimentazione – nel brano a cappella Human Heart con il duo smericano formato dalle gemelle Amber e Paris Stother insieme a Jacob Collier, e una curiosa We Are Kind che soffre però dell’utilizzo smodato dell’autotune. A chiudere l’album «spaziale», un viaggio cosmico messo a punto per Coloratura – quasi una suite dall’orchestrazione cinematografica e che risulta essere il brano più lungo mai inciso dal quartetto inglese, ben oltre 10 minuti – dalle atmosfere cadenzate, un delicato pianoforte e suoni liquidi e aperti.