Un tuffo dal tetto, un bagno in piscina e qualche risata: così un gruppo di miliziani libici ha dichiarato di aver messo in sicurezza la sede dell’ambasciata Usa a Tripoli, facendosi beffe delle autorità libiche e di quelle statunitensi. Non si trattava infatti di una piscina qualsiasi, ma del simbolo dell’amministrazione di Washington in una capitale occupata. Dalla caduta del colonnello Gheddafi, deposto dalle bombe della Nato e dalle milizie armate dall’Occidente tre anni fa, la Libia è un paese nel caos, come l’Iraq e come la Siria, spaccato a metà. E quel tuffo in piscina ne è chiaro specchio.

Il video dei giochi delle milizie popolari Alba della Libia, le responsabili dell’assalto ai simboli del potere centrale oggi oggetto di un semi-colpo di Stato, sta spopolando in internet. Secondo quanto riportato dalla stampa locale, domenica i miliziani islamisti hanno occupato l’ambasciata – abbandonata dallo staff diplomatico Usa a fine luglio – ufficialmente per garantirne la sicurezza, così come hanno assunto il controllo di edifici ministeriali e governativi a Tripoli nel corso della settimana appena trascorsa. Un giornalista dell’AFP, entrato nella sede dell’ambasciata Usa ha raccontato di alcuni danni alle finestre, ma di una situazione nel complesso ordinata. Lo stesso Dipartimento di Stato non mostra eccessiva preoccupazione e dichiara che il compound resta sicuro.

Anni travagliati quelli appena trascorsi per i diplomatici Usa, costretti più volte a chiudere i battenti per le tensioni che infiammano un paese lasciato preda dei propri settarismi etnici e politici interni: prima nel febbraio 2011, con lo scoppio della rivolta contro Gheddafi e ancora a settembre 2012, quando il consolato di Bengasi venne preso d’assalto e l’ambasciatore Stevens venne ucciso insieme a tre agenti della Cia.

Nelle stesse ore il premier dimissionario Abdullah al-Thinni ha ricevuto un nuovo incarico. Il parlamento eletto a fine giugno – riunito da qualche giorno a est, nella città di Tobruk, dopo l’occupazione della capitale da parte delle milizie islamiste – ha approvato ieri la rinomina del primo ministro uscente che è chiamato a formare un nuovo esecutivo con 18 ministeri. Ma fuori resta il caos: la Libia vive oggi una crisi senza precedenti, con due parlamenti, due primi ministri e due governi. Oltre a quello di al-Thinni , è operativo anche l’esecutivo islamista guidato da Omar al-Hassi, chiamato dal consiglio generale nazionale la scorsa settimana a formare un governo di “salvezza nazionale”. Al-Thinni si era dimesso mercoledì come forma di protesta per l’assalto – riuscito – delle milizie islamiste partite da Misurata contro le sedi delle istituzioni libiche a Tripoli. Nei violenti scontri hanno perso la vita decine di persone e migliaia sono fuggite dalla capitale. Tutti rifugiati a Tobruk, governo e diplomatici stranieri compresi.

«Per gli impiegati andare al lavoro è diventato pericoloso. Il pericolo è venire uccisi o arrestati soprattutto dopo che alcuni gruppi armati hanno minacciato di attaccare e dare fuoco alle loro case e terrorizzare le loro famiglie», ha detto domenica il premier al-Thinni, che ha candidamente ammesso di aver perso il controllo di quasi tutte le istituzioni e gli uffici governativi a favore delle milizie islamiste.