Ebbene sí, accade anche questo. Il sito AskMen ha calcolato che negli ultimi tre anni, dall’inizio del Trono di Spade ad oggi, almeno 146 neonate sono state battezzate Khaleesi – un nome palesemente inventato. E in realtà nella fiction non è nemmeno il vero nome della principessa dei draghi interpretata da Emilia Clarke, bensì il titolo nobiliare che le hanno affibbiato i Dothrtaki. Non lo sapevate? Chiaramente non fate parte della confraternita globale di fedeli seguaci di una delle serie HBO (in Italia la trasmette Sky tutti i venerdì alle 21.10 sul neonato canale SkyAtlantic) di maggior successo, e anche la quarta stagione ha debuttato con un audience altissima – 6 milioni di spettatori – numeri mai più visti dai tempi dei Sopranos.

Un successo garantito da una sceneggiatura di ferro tanto che delle serie a sfondo storico arrivate su piccolo schermo come I Borgia, Spartacus o I Demoni di Leonardo) è proprio il fantasy inventato di sana pianta da David Benioff e DB Weiss (adattando la saga originale di R.R. Martin) a risultare il più credibile. Funziona la sceneggiatura, la cui scrittura è ampiamente superiore alla media, la produzione e la qualità cinematografica delle riprese. Poi sesso e violenza, chiaro, ma coerenti anch’essi con la sorta di truce fatalismo hobbesiano che pervade la terra mitica ma allo stesso tempo maledettamente riconoscibile di Westeros.

Per Trono di Spade l’ambiguità morale è praticamente un brand, è un programma che per quasi ogni personaggio riesce a generare sia empatia che disprezzo come spiega Peter Dinklage – il migliore del cast nel ruolo di Tyron Lannister. «Come è possibile avere compassione per uno che butta giù un bambino da una finestra?» dice, parlando del «fratello» Jamie (Nikolaj Coster Waldau). «Eppure in qualche modo arriviamo a provarla nei suoi confronti, lo seguiamo e a volte arriviamo perfino a tifare per lui. Poi improvvisamente ti ricordi. Ma ha buttato un bimbo dalla finestra! E così è la vita: complicata. Ci sono persone in galera che hanno fatto cose orribili ma che sono brave persone. Il genio di R.R. Martin è di non rispettare le convenzioni. Cosí è stato quando nella prima stagione venne giustiziato Ned Stark, che sembrava il protagonista, l’eroe. È stato scioccante perché era inedito, perché le convenzioni ci portano ad aspettarci che i ’buoni’ vivano e i ’cattivi’ muoiano.».

E il buon Ned non è stato certo l’ultima vittima illustre di uno show dove essere protagonista significa mettere in conto repentini… infortuni sul lavoro. L’imprevedibilità è una certezza e ogni scioccante colpo di scena, deve ormai venire superato per effetto traumatico da quello successivo. Al bagno di sangue del «matrimonio rosso» che ha sconvolto i fan alla fine dello scorso anno è seguito così il tradimento del purple wedding (perché sposarsi a Westeros, ormai è chiaro, è uno sport estremo). E ogni colpo di scena è regolarmente amplificato dalla reazione dei fan su twitter e nei forum sociali. È questa ormai l’obbligatoria dimensione «social» delle fiction televisive. Il commento di lunedí mattina a scuola o al lavoro, sul film della domenica oggi è il tweet in tempo reale, senza il quale l’evento non esiste – e ormai sono le stesse produzioni a promuovere le redazioni «social» preposte a gestire questo traffico «riflesso». Tanto che ci si chiede quanto senso possa avere ormai la diffusione ritardata rispetto alla tabella globale di internet.

Bisognerebbe sapere insomma quanti veri fan (Trono esige fedeltà – meglio se ossessione) aspettino davvero i giorni che separano la messa in onda doppiata di Sky dalla catarsi mondiale della prima vision. Perché ad attendere si rischia l’esclusione dalla conversazione e peggio l’irrimediabile forfait di ogni vera sorpresa.

Per gli autori i colpi di scena sono ormai l’unico strumento che la fiction ha per indurre lo spettatore alla visione «live». Simulando un’imprevedibilità che somiglia a quella di un evento sportivo per generare grandi (e redditizi…) ascolti.

L’incentivo alla visione «live» è la minaccia dello spoiler – il rischio di perdersi il brivido in diretta. Non a caso «spoiler» (il «guastante») è un termine ubiquo quando si parla del Trono di Spade – di sicuro è stato un argomento fisso dell’incontro del cast con la stampa il mese scorso a New York. A partire dalla madrina dei draghi (e di tutte quelle neonate) Emilia Clarke/Daenarys Targaryen: «A natale ero in macchina con la mia famiglia parlando delle riprese: mio fratello si è arrabbiato tantissimo perché secondo lui gli stavo ’guastando’ tutta la stagione!». «Per quanto riguarda i colpi di scena direi che l’anno scorso abbiamo avuto per molti personaggi sviluppi sconvolgenti. Non mancheranno nella nuova stagione, ma avranno forse una dimensione emotiva e un nuovo elemento di oscurità incomberà su tutta la stagione. Per quanto riguarda Daenerys credo stia finalmente realizzando davvero di essere una regina e questo comporta molto più di ciò che immagina – non è solo conquistare eserciti e draghi sputafuoco. E non è solo lei, in un modo o nell’altro tutti i personaggi sono alle prese con cosa voglia veramente dire avere potere. Ma soprattutto siamo arrivati d un punto in cui i copioni di David e Dan scavano più a fondo nella psicologia dei protagonisti e non sempre è bello ciò che viene rivelato…. Quello che mi è subito piaciuto del programma è il cambiamento di personaggi, il modo in cui evolvono. All’inizio Tyrion è un maestro del sarcasmo, ha sempre una risposta pronta, a modo suo è simpatico. Ma se fosse rimasto sempre così, a lungo andare sarebbe risultato tedioso. Invece nella quarta stagione si cambia. E molto…»