Per vincere una guerra la prima cosa da stabilire è chi sono i nemici da battere. L’incontro tra il ministro Speranza e le commissioni sanità di camera e di senato del 24 ottobre, finalmente ci mette in condizioni di capire la strategia di questo governo sulla sanità.

Ma in realtà il nostro ministro della sanità ha parlato poco di strategia limitandosi, a fare una sorta di “inventario di magazzino”, elencando quasi tutti i problemi sanitari irrisolti, quindi le “giacenze”.

Da questo inventario, si capisce, primo, che la guerra di Speranza in realtà non è una guerra, ma una vasta azione “amministrativa” volta a migliorare lo stato ordinario delle cose. Secondo, che i suoi nemici non sono esterni, non minacciano i confini, ma sono interni e sono i tanti problemi ordinari del sistema, compresi tra disfunzioni, sprechi, carenze, omissioni. Amministrare meglio la sanità ovviamente è una cosa buona, ma farne una strategia per antonomasia quando i fondamentali della sanità pubblica sono in pericolo, può diventare un errore fatale. Sarebbe come se Troia assediata dagli achei rispondesse alla guerra riorganizzando il catasto.

La riapertura delle porte alle mutue, alla speculazione finanziaria, alla deriva aziendalista (che ha manomesso il titolo V della Costituzione), al regionalismo differenziato (che ha massacrato gli ospedali), alla prevenzione ridotta alla marginalità, ai riordini che negano il territorio, all’invenzione dei piani di rientro che hanno messo in ginocchio il sud. Tutto questo e dunque le diseguaglianze in sanità, è farina di sinistra fatta da esperti o da regioni di sinistra del nord.

Se un ministro Leu fa le stesse cose, non solo dell’ex ministra Grillo, che giustamente rivendica il copyright, ma anche del Pd, (Bindi, Turco, Lorenzin) in cosa consiste politicamente il suo eventuale valore politico aggiunto?

Il ministro Speranza nell’audizione ha dichiarato che le sue “linee programmatiche saranno radicate nella Costituzione” e che per questo “non va inventato nessun programma” aggiungendo che bisogna fare una “battaglia culturale” perché si tratta di considerare “le risorse in salute non una spesa ma un investimento”.

Mi è sembrato di risentire le parole dell’ex sottosegretaria Dirindin, quando anni fa in un convegno, riferendosi alla riforma-ter, mi rispose “ma cosa vuoi riformare ormai non c’è più niente da riformare tutto è stato riformato” .

La “battaglia culturale” a cui allude il ministro è stata fatta, vinta e persa. Nel 1978 con la 833 il diritto alla salute fu considerato non economicamente condizionabile, poi nel 92, con l’azienda, diventò economicamente condizionabile, in seguito nel 99, un ministro di sinistra, perfezionò l’azienda obbligandola al vincolo di bilancio” (L.229 art 3). Per cui il diritto di cui parla Speranza da economicamente condizionabile diventò economicamente dipendente.

C’è da chiedersi (e chiedergli) se come ministro di Leu sarebbe disposto a fare una battaglia politica per ristabilire anche dal punto legislativo una relazione “compossibile” tra etica ed economia. “Compossibilità” è una parola che non va d’accordo con il pensiero unico della compatibilità. (L229 art 1 punto 3). Per considerare, come lei auspica, il diritto non una spesa ma un investimento, ci vuole quello che lei, ha rifiutato, cioè “un programma” vale a dire una strategia riformatrice che aggiusti anche i tanti errori fatti in questi 40 anni.

Nel momento in cui il diritto alla salute diventava economicamente subalterno, sempre il Pd, pensò di riaprire le porte alle mutue e ai fondi integrativi, (Bindi, Turco) accreditando una teoria infondata quella che ritiene che per ragioni di “sostenibilità” fosse necessario privatizzare, e quindi creare condizioni favorevoli per mettere in piedi il sistema multi pilastro.

Oggi dopo il job act (governo Renzi) e grazie ai suoi incentivi fiscali abbiamo: il welfare aziendale, come 50 anni fa, il corporativismo, una crescita dei fondi integrativi fiscalmente agevolati, una spesa privata in costante crescita. Speranza ha inviato alle regioni il patto per la salute dove non solo si conferma il processo di privatizzazione in atto ma si dichiara di volerlo sviluppare. Ha anche chiesto l’abolizione del super ticket ma a sistema di ticket quindi di diseguaglianze del tutto invariato anzi sta pensando di trasformare il ticket in una tassa sulla malattia modulata sul reddito.

I nemici sono alle porte e il ministro è andato in parlamento a parlare come avrebbe detto Majakovskij , del “problema della primavera”.