«I processi sono buchi della serratura da cui osservare il più grande mistero esistente: l’animo umano» dice il magistrato Francesco Caringella, autore del romanzo Non sono un assassino da cui è tratto il film omonimo di Andrea Zaccariello, in sala dal 30 aprile dopo l’anteprima il 28 al Bari Film Festival.

ATTRAVERSO il genere del thriller legale, dice infatti il regista, «volevamo scandagliare le anime dei protagonisti», e cioè tre amici di vecchia data: il vicequestore Francesco Prencipe (Riccardo Scamarcio), il giudice Giovanni Mastropaolo (Alessio Boni) e l’avvocato Giorgio (Edoardo Pesce), che difende Francesco nel processo in cui è accusato di aver ucciso proprio il suo più caro amico Giovanni, assassinato in apertura del film da un colpo di pistola alla testa. Organizzato, come nota Boni, con un «sistema di scatole cinesi» il film ricostruisce attraverso i flashback la verità all’interno di una stratificazione di menzogne: «Lo stesso processo – dice Caringella – non è che un rito, una commedia in cui tutti devono recitare la loro parte in un gioco di inganni e di specchi. Deve mentire l’avvocato e anche l’imputato se è colpevole – ma soprattutto se è innocente, perché spesso la verità è poco credibile. Il giudice e la giuria non conoscono la verità, devono scoprire quella più plausibile fra le verità piene di menzogne del pm e dell’imputato».

IN QUESTO film di genere, «ma soprattutto storia di persone» dice Zaccariello, la cosa che lo ha interessato di più è l’indagine sul male, che non è qualcosa di assoluto e netto: «Nei tempi in cui viviamo il male può trovare posto dentro di noi dal momento in cui ci convinciamo che non sia tale, in cui ci costruiamo una realtà come vorremmo che fosse». Un’«universalità» del male che si riflette nella Puglia «anonima» in cui è ambientato Non sono un assassino : «L’abbiamo filmata in modo che potesse sembrare qualunque altro posto, cercando di fare in modo che non ci fosse mai il sole».